Tre anni fa scompariva Ottorino Pietro Alberti, indimenticabile arcivescovo di Cagliari con la storia nel cuore e grande studioso impegnato a cercare la verità. Il ricordo di Gianni Filippini, direttore editoriale de L’Unione Sarda.
Non è moltissimo, ma almeno è rassicurante: Ottorino Pietro Alberti non è stato dimenticato del tutto. Subito dopo la scomparsa – nel luglio del 2012 – a ricordare lo stimato arcivescovo di Cagliari ci ha pensato Tonino Cabizzosu: con grande sensibilità, su un numero speciale del Bollettino dell’Archivio storico diocesano – istituzione diretta per tanti anni con competenza e impegno – ha raccolto la testimonianza di personalità che ne avevano conosciute e apprezzate le eccezionali doti di pastore illuminato, di uomo generoso e di storico autorevole.
Poi, qualche articolo, l’intitolazione di una piazza a Galtellì, l’annunciata iniziativa (promossa da don Ottavio Utzeri e accolta dall’arcivescovo Arrigo Miglio) di pubblicare una nuova edizione delle sue opere, a cominciare da “Il Cristo di Galtellì” (1967). Infine, L’Ortobene, settimanale della Curia nuorese, che ad Alberti ha dedicato una pagina: un’accurata nota bio-bibliografica di Michele Pintore e un intenso ricordo firmato da monsignor Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato del Vaticano e destinato al prestigioso ruolo di Prefetto della Congregazione dei Santi.
È certamente da condividere quanto ha scritto Angelo Becciu: «Fare memoria di monsignor Ottorino Alberti significa onorare la sua personalità. Una personalità che per il suo spessore umano e sacerdotale ha raccolto vasta stima lasciando tracce che non possono cadere nell’oblio».
E Becciu aggiunge un significativo dettaglio: «Di mentalità profondamente conservatrice colse quanto di positivo trovava nelle nuove proposte senza però mai cedere sui principi essenziali della dottrina».
Non si poteva dir meglio di un pastore che da posizioni non progressiste ha tuttavia anticipato la rinnovata Chiesa di Papa Francesco assegnando alla propria missione il fondamento della misericordia, della solidarietà, del rigore etico, della giustizia sociale, della ferma opposizione alla malapolitica e alla corruzione. E anche quello, davvero importante, dello storico lucido e appassionato che con i libri – i tanti letti e scritti – aveva un rapporto di amore profondo. Non aveva paura di parlarne. Certo, riservava la confidenza agli amici.
Era però evidente che a parlare era il cuore quando rivelava che un grande dolore gli era stato inflitto dall’incendio della biblioteca personale. Le fiamme avevano ridotto in cenere desolante molti volumi, in particolare numerose opere antiche e rare. E molti documenti importanti e preziosi. Anche i fitti appunti su tante ricerche. Scherzando la definiva un’ammissione di debolezza: «Anch’io sono stato chiamato a soffrire. Ma la fede mi ha aiutato, da credente mi sono rifugiato nella preghiera. Ma per quel rogo temo di aver reagito, almeno per qualche minuto, con una rabbia decisamente laica».
Da storico si era dato una regola: considerare la storia una palestra di verità. Sempre, anche quando può essere in qualche modo sgradita a questo o a quello. Insomma, quando l’obbiettività lo sollecitava, non si sottraeva al diritto-dovere di esprimere giudizi severi, anche duri, su chiunque li meritasse e su qualunque sponda si trovasse. Insomma, rinunciava alla virtù del perdono nei confronti di chi aveva tradito la storia e le sue documentabili verità. È anche così che ha saputo conquistarsi convinta stima e ricordo indelebile.
Gianni Filippini