Ha scelto la strada del silenzio.
Papa Francesco nel campo di concentramento di Auschwitz, a circa 70 chilometri da Cracovia dove si svolge la 13ma Giornata Mondiale della Gioventù, ha varcato l’ingresso del campo di concentramento da solo, a piedi, con il capo chino e in silenzio. “Signore, abbi pietà del tuo popolo! Signore, perdona tanta crudeltà”: è il messaggio, scritto in spagnolo, che il Papa ha lasciato nel libro degli ospiti d’onore.
Il Papa, nel campo di concentramento, si è seduto su una panchina all’esterno, tra due alberi, nella piazza dell’Appello, dove i prigionieri venivano impiccati. Mani giunte, a tratti anche con il capo chino e gli occhi chiusi, ha pregato da solo in silenzio per diversi minuti.
Un silenzio rotto all’improvviso dal pianto di un neonato, liberatorio di una tensione divenuta quasi solida.
Come sempre toccante e incisivo il reportage di Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa, che scrive:
«Per quindici minuti Francesco rimane assorto in preghiera, con le mani intrecciate e il filo spinato sullo sfondo, a fare da cornice. Quando si alza, va a baciare un palo di legno usato come patibolo. Nel Blocco 11 saluta dodici superstiti, tre dei quali centenari. Tra questi c’ è Helena Dunicsz, violinista polacca nata a Vienna, l’unica sopravvissuta dell’orchestra del campo di concentramento. Il Papa stringe loro la mano e li abbraccia. Uno di loro gli chiede di firmare un album di foto. L’ultimo gli consegna una candela con la quale Bergoglio ha camminato verso il «muro della morte», là dove le vittime venivano uccise con un colpo alla testa. Lo tocca, rimanendo immobile a lungo, quasi cercando un contatto con la sofferenza, il dolore, il sangue di cui è intriso. Sempre in silenzio, scende nel sotterraneo per sostare muto nella cella di Kolbe, fissando i graffiti incisi sul muro, tra i quali spicca una grande croce. Uscito da Auschwitz, Francesco percorre i tre chilometri che lo separano da Birkenau, il vero luogo della Shoah. Si ferma sotto la torretta d’ ingresso, attraversata dal binario della morte, via senza ritorno per più di un milione di uomini, donne e bambini innocenti. Per la maggioranza ebrei. Quindi avanza contemplando le baracche di mattoni rossi, i resti delle camere a gas e dei forni crematori. Davanti alle lapidi del monumento alle vittime delle nazioni, con il capo chino, prega nuovamente. L’ unica voce che si leva è quella del rabbino capo di Polonia, che canta in ebraico il salmo 130, il «De profundis». Un migliaio di persone assistono a questo momento finale. Nessuno fiata. Solo un bimbo di pochi mesi, tenuto in braccio dal papà, sfida l’ assordante silenzio. Sul libro d’ Onore Francesco scrive in spagnolo: «Signore abbi pietà del tuo popolo! Signore perdono per tanta crudeltà!». Abbi pietà. Non ci sono altre parole. Quello che forse avrebbe voluto dire, Bergoglio lo comunica nel pomeriggio al milione di giovani presenti alla Via Crucis nel parco Blonia di Cracovia: «Dov’ è Dio, se nel mondo c’ è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’ è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre? Dov’ è Dio, quando malattie spietate rompono legami di vita e di affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati, e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie?». Domande «per le quali non ci sono risposte umane». Possiamo – conclude – «solo guardare a Gesù», il Dio che si è annientato soffrendo sulla croce. Al termine della Via Crucis, affacciato dalla finestra dell’ arcivescovado, Francesco ha rivolto un messaggio ai giovani: «Non vorrei amareggiarvi ma devo dire la verità: si tortura anche oggi, la crudeltà non è finita con Auschwitz e Birkenau».