Un segno, un presagio, quasi un’icona.
Il fatto: poco prima della Messa a Sarajevo il pastorale del Papa cade e si spezza in due. Inutilmente il cerimoniere, monsignor Marini, cerca di recuperarne un altro. Forse, a impedirglielo, potrebbe essere stato lo stesso Francesco. Chissà.
Morale: il Papa impugna quel pastorale che, all’impugnatura, presenta ora una strana gobba grigia, perché nastrato con dello scotch che tiene insieme il bastone e il Crocifisso che lo sormonta.
Quel pastorale – segno del comando, docile ma autorevole del gregge – diventa un’altra icona di questo Papa, ma anche della Chiesa che è chiamato a guidare. Assieme all’utilitaria sulla quale si sposta, la croce pettorale e l’anello in metallo, Santa Marta…
Non c’è nulla di più precario di una cosa acconciara a scotch, come diciamo dalle nostre parti. Perché destinata a staccarsi di nuovo e quindi a essere di nuovo, e di nuovo ancora, per chissà quante altre volte riattaccata, rincollata, rinsaldata.
È la Chiesa “ospedale da campo”, è il mistero del peccato e del peccatore pentito, richiamato all’esordio del suo pontificato da questo Papa-papà della misericordia: «Siamo noi che ci stanchiamo di perdonare, Dio però non è come noi: lui non si stanca mai, MAI, di perdonarci».
L’importante è che non manchi mai questo nastro adesivo.
Ma soprattutto la mano ferma di chi impugna questo pastorale con cui, seppure rotto, guida comunque e sempre il gregge al sicuro. Senza vergogna di mostrare una Chiesa divisa, lacerata, scollata ma tenuta insieme dalla Parola e dal Pane di vita nuova. Oggi e per l’eternità.
Paolo Matta