A Oristano per imporre il Pallio all’arcivescovo Roberto Carboni, il Nunzio Apostolico in Italia è intervenuto sul tema dell’unione delle diocesi, fra “accorpamento, avvicinamento, unificazione”, chiarendo – per la prima volta – le tre fasi di un processo storico che ha definito “irriversibile”. Pubblichiamo l’intervista che monsignor Tscherrig ha rilasciato al settimane diocesano L’Arborense nella sua versione integrale.
Mons. Emil Paul Tscherrig, svizzero, 72 anni, è dal 2017 Nunzio Apostolico in Italia e nella repubblica di San Marino. La sua presenza a Oristano per l’imposizione del pallio all’Arcivescovo Roberto Carboni ha consentito di rivolgergli alcune domande sui prossimi passi nello scenario della riformulazione geografica e pastorale all’interno delle diocesi italiane. Le sue risposte non danno adito ad alcun dubbio.
Che significato ha la sua presenza oggi a Oristano? L’imposizione del Pallio non è più effettuata materialmente dal Papa, ma dal suo rappresentante. Perché?
L’imposizione del pallio è un’antica tradizione che risale al IV sec. Il significato del pallio è eminentemente cristologico in quanto ricorda che il Signore ha caricato tutti noi, come pecorelle, sulle sue spalle. Per questa ragione, l’Arcivescovo rappresentando Cristo nella sua diocesi carica il peso dei fedeli e della diocesi sulle proprie spalle. Questo è il segno del pastore che va dietro le pecorelle perdute e che si occupa di tutti coloro che fanno parte della sua Chiesa. Il Papa benedice i palli e li consegna agli Arcivescovi metropoliti. La consegna del pallio attraverso il nunzio, novità introdotta da papa Francesco, vuole esprimere la comunione profonda tra il Metropolita e il Papa e, d’altra parte, il Metropolita e la sua gente. In sostanza tutto ciò esprime la profonda comunione che esiste nella Chiesa tra i responsabili e la gente. Per questo il Papa ha voluto che tale imposizione sia effettuata davanti al popolo di Dio, di cui l’Arcivescovo è pastore. Nella decisione del Papa la dislocazione dell’imposizione da Roma alla diocesi ha pesato l’intenzione di renderlo un segno pastorale per celebrare insieme a tutto il popolo la comunione che esiste all’interno della comunità ecclesiale con il Papa, le Chiese suffraganee – che in questo caso è una sola – e il popolo di Dio.
In Sardegna già quattro diocesi sono state “avvicinate” attraverso la guida di un vescovo per Oristano e Ales-Terralba col vescovo Roberto e Nuoro e Ogliastra sotto la guida del vescovo Antonello. Questa situazione è provvisoria o, come detto da alcuni, irreversibile?
Questo è un processo. Il Santo Padre ci chiede di uscire, diventare evangelizzatori e non occuparci tanto di questioni amministrative rimanendo fissati nei nostri palazzi per manutenzione e amministrazione. Dobbiamo uscire per annunciare il kerygma, la verità principale del Vangelo che sono la condizione per essere salvati. Il Papa vuole che la Chiesa intera si rinnovi. Questo rinnovamento deve coinvolgere le varie diocesi, le varie istituzioni cattoliche per divenire discepoli, missionari. Molte volte ci siamo dimenticati questa missione. Così ci siamo barricati delle nostre istituzioni, abbandonando in qualche modo quella che è la missione principale della Chiesa: l’evangelizzazione. Il Papa vuole che usciamo e se il Papa chiede di unire le diocesi ha diverse motivazioni. Il motivo principale è unire le forze vive delle comunità per rilanciare il processo di evangelizzazione. Il Papa ha deciso che questo processo si attua in tre fasi. In primo luogo, l’unione o, meglio, l’avvicinamento di due diocesi nominando il vescovo residente di una e Amministratore dell’altra. La seconda fase che avverrà dopo un po’ di tempo sarà l’unificazione delle due in persona episcopi, cioè che diventa l’unione di due diocesi sotto la figura del vescovo. La terza fase, di cui non sappiamo ancora i tempi che potrebbero essere quantificati in una decina d’anni, prevede l’unificazione definitiva delle due diocesi. Per il momento, il vescovo rimane Amministratore e le diocesi rimangono separate, godendo ciascuna della propria autonomia. Al vescovo è chiesto di favorire e intensificare la collaborazione del clero e dei fedeli. Il Papa in un certo senso prende nota di un processo che già esiste, poiché in ogni diocesi siamo obbligati a unire parrocchie, con sacerdoti che guidano due, tre, cinque comunità. Questo processo è dato anche dal numero sempre più esiguo di vocazioni, dall’invecchiamento del clero, dalla diminuzione della popolazione. Il Papa prende atto di questo cambiamento e chiede che, se si fa nelle parrocchie, lo si possa fare anche nelle diocesi. Tale processo porterà a diminuire gli oneri di amministrazione riducendo a una sola curia e liberando il personale – soprattutto i sacerdoti – per favorire l’annuncio del vangelo. Tutto ciò, tuttavia, è principalmente motivato dal rilanciare l’annuncio del vangelo attraverso la collaborazione tra le forze vive delle comunità ecclesiali.
Potrà un vescovo avere l’odore delle pecore, se potrà visitarle solo una volta ogni paio d’anni a causa della grandezza del territorio e degli impegni burocratici sempre più ingenti?
In primo luogo, si spera di poter ridurre gli impegni burocratici, attraverso il loro affidamento a sacerdoti o a laici. Questo dovrebbe liberare il vescovo da molti impegni amministrativi per dare la possibilità di poter incontrare la gente. Non significa che il vescovo deve visitare ogni anno, ma la vicinanza si esprime anche attraverso la collaborazione col clero che lavora col vescovo e che realizza i programmi che la diocesi propone. Abbiamo grandi diocesi come Milano, che è tra le più grandi d’Europa. In essa nessuno si lamenta. La vicinanza si esprime in tanti modi: non è necessario che io vada ogni giorno e li saluto tutti. Ma tale vicinanza è soprattutto spirituale. Il vescovo è presente attraverso la sua predicazione, attraverso il contatto coi presbiteri. Bisogna evitare di pensare che l’unico modo di contatto col popolo sia quello fisico, ma la Chiesa è un’entità spirituale e quello che dobbiamo rinnovare è lo spirito. Il vescovo deve provvedere che lo spirito sia rinnovato e questa comunione sia piena nel Corpo di Cristo. La presenza della Chiesa non si basa principalmente sul contatto fisico, ma sulla communio, aspetto promosso dal Concilio Vaticano II, che si esprime nell’unità tra il vescovo e il presbiterio, i preti e il popolo di Dio. Bisogna sempre pensare a una cosa speciale, che vorrei sottolineare: un sacerdote che non sta in comunione col vescovo non sta neppure in comunione col Signore, perché si taglia questa communio spirituale, che esiste dentro la Chiesa dove il vescovo rappresenta Cristo. Perciò è necessario rafforzare questa comunione che deve esistere tra fedeli, preti e vescovo. Il Papa ci ricorda che non siamo una società che organizza eventi per incontrarci. Questo ci vuole, ma non è fondamentale. Il primo principio è la communio in Cristo Gesù intorno al vescovo.