Nelle mani del padre per vincere dubbi e prove

IV Domenica di Pasqua 2019 – (12 maggio)
LettureAt 13,14.43-52; Ap 7,9-17; Gv 10,27-30

All’alba di Pasqua, tutto era cominciato per gli apostoli con la scoperta della tomba vuota. Il corpo di Gesù non era più lì, dove avrebbe dovuto giacere.
Per le sante donne e gli apostoli Pietro e Giovanni, la prima manifestazione della risurrezione è stata quella di un’assenza.
Poi, ben presto, erano giunte le apparizioni. Ma ben presto, nel cuore dei discepoli si era affacciato il dubbio: era proprio lui?

Avevano avuto bisogno di toccare la sua carne, mettere le dita nel suo costato, mangiare e bere con lui, perché nel loro cuore mettessero radice la gioia e la pace promesse da Gesù risorto. I discepoli erano stati lenti a credere, e lo stesso Gesù non li aveva rimproverati per questo?
Le resistenze e i dubbi del cuore avevano ceduto solo poco a poco. Avevano avuto bisogno di tempo.

Dopo aver sperimentato l’indurimento del proprio cuore, ecco che i discepoli, a loro volta, devono misurarsi con la resistenza di coloro ai quali volevano annunciare la risurrezione. Ad Antiochia, Paolo e Barnaba si scontrano con il rifiuto di coloro che pure li avevano accolti come fratelli.
Quanto a Giovanni, ci descrive questa «folla immensa» di testimoni che «vengono dalla grande prova», e «hanno lavato le vesti nel sangue dell’Agnello».
Anche il mondo avrà bisogno di tempo per convertirsi.

Questo brano del Vangelo si inscrive in questa prospettiva di un tempo necessario, di un tempo che si prolunga. Per gli apostoli, l’esperienza della risurrezione non è più solo quella dell’assenza e della tomba vuota, e nemmeno quella della pienezza della presenza del Risorto, ma è diventata questa coscienza molto profonda di vivere, giorno dopo giorno, nelle mani del Padre e del Figlio. Nella lotta del dubbio e della prova, hanno fatto l’esperienza di essere nelle mani di Gesù, «nella mano del Padre». E sanno, ormai, che nulla e nessuno può strapparli dalla sua mano!

Nel tempo che scorre, in questo tempo che è il nostro, la Chiesa è proprio il sacramento di questa mano del Padre che ci sostiene nella lotta del dubbio e della prova. Essa ci sorregge grazie a queste nubi di testimoni che ci hanno preceduto nella fede e spesso hanno pagato con la vita l’attaccamento al Gesù risorto.
Essa ci invita ad entrare, a nostra volta, in questo popolo in cammino verso il Regno, a diventare le cellule viventi del corpo di Cristo e le pietre vive di questo tempio in cui riposa lo Spirito di Dio.

Dio stesso ci interroga: «Ho fatto di te la luce delle nazioni», e tu cosa ne hai fatto? Mentre gli uomini del nostro tempo cercano da tutte le parti sorgenti di acqua viva per estinguere la sete di Dio, quanti, tra noi, si sono fatti avanti per testimoniare la loro gioia di credere? Quanti si sono lasciati toccare dal suo invito a seguirlo sulle strade del Vangelo?

Possiamo certamente pregare Dio perché risvegli, nel cuore di numerosi giovani, il desiderio di abbandonare tutto per vivere il Vangelo e annunciarlo. E bisogna farlo. Ma queste vocazioni come potrebbero nascere e crescere se non sono sostenute da questa mano di Dio che siamo chiamati ad essere noi per tutti questi giovani? Cosa abbiamo fatto della nostra vocazione personale? Di quella vocazione alla santità alla quale, con il battesimo, siamo stati tutti chiamati?

Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)

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