Ora che, dopo l’enfasi e l’emozione, amplificate a dismisura da tutti i mass media, vicenda umana e politica vengono consegnate alla sezione “archivio storico”, con maggiore serenità si possono tentare alcune riflessioni. Una su tante, inquietante, conturbante, imbarazzante: il rapporto “Berlusconi-mondo cattolico”.
La sua vita, una volta lasciato tutto e tutti su questa terra, è nelle mani della misericordia e della pietà divina. Per fortuna e consolazione nostra. Al cospetto di Dio poco varranno ville e miliardi, televisioni e giornali: anche per lui è il momento de “a livella”, come amaro e sardonico poetava il nostro Totò.
Qui si vuol dire, meglio, tentare di dire altro.
Perché, diceva un vecchio notabile della Dc, «in politica non basta essere cristiani, bisogna anche sembrarlo”. Un mix di fariseismo, certo, ma anche di sana coscienza delle proprie infedeltà.
C’è chi ha definito Berlusconi egolatra, smisurato adoratore del proprio ego in un’autocelebrazione, in certi momenti, anche patetica. Ma tant’è. E non si vuol qui neanche alludere alla sua disinvolta, spericolata vita sentimentale e affettiva né alla deriva culturale innescata dai programmi televisivi delle sue reti, divenuti – ahimè, anche con colpevoli complicità chiesastiche – veri modelli dis-educativi e dis-formativi delle ultime generazioni.
Qui si vuol dire altro. Quello che, con linguaggio lapidario, diretto come solo la lingua e cultura semitica sanno essere, Gesù ebbe a chiarire senza mezzi termini: «Non si può servire Dio e mammona, Dio e il denaro».
Perché, non c’è storia, si amerà l’uno e si disprezzerà l’altro.
Il Cavaliere di Arcore non ha mai nascosto la sua scelta per il denaro. Di sostanza e di apparenza. Tutto nella sua gaudente vita aveva un prezzo per le sue tasche. Tutto.
Come è stato possibile, allora, che possa essere diventato leader, referente, punto di riferimento per tanti cristiani e cattolici italiani? Non esistono cattolici-moderati: «il vostro parlare sia sì-sì, no-no; tutto il resto viene dal Maligno».
Riavvolgendo il nastro di quei funerali, al di là delle esequie di Stato, del lutto nazionale, delle sciarpe, bandiere e cori da stadio, resta il volto del presidente Mattarella: impietrito, immutabile, non una piega, ma uno sguardo alto, severo, austero.
Forse, una cerimonia privata, nella “sua” cappellina di Arcore, fra pochi intimi, avrebbe avuto il sapore di una “conversione” almeno all’apparire, al sembrare, al tentare di essere. Coerente sino alla fine – glielo si deve riconoscere – alla sobrietà e alla povertà che tutti ci accomuna davanti a Sorella Morte, ha scelto la parata, lo spettacolo, l’apoteosi.
Di lui resta un mucchietto di cenere. Sic transit gloria mundi.
Paolo Matta