Domenica 16esima del Tempo Ordinario – anno C (21 luglio)
Letture: Gen 18,1-10; Col 1,24-28; Lc 10,38-42
Forse Gesù è caduto nella trappola? Rispondendo alla domanda di Marta, ha forse ceduto alla tentazione facile di scegliere, come troppo spesso si è inteso, tra la contemplazione e l’azione, tra l’ascolto della parola di Dio e il servizio dei fratelli? Questa può essere la nostra impressione dovuta a una prima lettura superficiale di questo brano del Vangelo di Luca. Ma è proprio quello che Gesù intende dirci? In effetti, stretti nell’interrogativo di Marta e nel dilemma che essa impone, rischiamo di non essere più in grado di comprendere la risposta di Gesù, di non riuscire più a cogliere quello che intende dirci.
Che dice in realtà? Chiede a Marta di lasciar perdere il suo lavoro per venire a sedersi ai suoi piedi, accanto a Maria? Certamente no! Gesù non mette in discussione il suo servizio e nemmeno l’intenzione che anima Marta. Quello che lei fa è una cosa buona, anche se esiste una parte migliore. Non le chiede di fare meglio, ma di fare diversamente. La sua risposta non ha nulla di un giudizio di valore, ma è piuttosto una domanda. Perché la sua attività si è trasformata in agitazione, in aggressività, in rivendicazione? Perché quello che era amore dell’altro si è trasformato in critica aspra?
Gesù non giudica, non contrappone, ma mette il dito sul pericolo che minaccia ogni attività umana. Sotto le apparenze del servizio agli altri, sotto la maschera del disinteresse e dell’amore, di fatto, il bisogno di esistere ai propri occhi, di essere riconosciuto, è diventato il motore dell’esistenza. Il bisogno reale o supposto dell’altro è diventato il pretesto, l’alibi facile che permette di non più ascoltare la parola di Dio. Ci sono talmente tante cose più importanti e urgenti da fare! La posta in gioco di questo brano del Vangelo, non è dunque sapere se c’è una gerarchia tra la contemplazione e l’azione, ma è piuttosto di interrogarci sulla sorgente della nostra azione! Perché, ogni attività diventa agitazione e inquietudine se non si radica in questo ascolto silenzioso e fedele della parola di Dio. È lì, in effetti, ai piedi di Gesù che l’azione deve trovare la sua vera sorgente. Per portare frutto, e un frutto che rimanga, l’azione deve trovare la sua sorgente e nutrirsi della contemplazione.
Così facendo, sottolineando questa priorità logica della contemplazione sull’azione, Gesù non ci incoraggia alla pigrizia o alla negligenza. Maria ha scelto la parte migliore non perché non faceva nulla, ma perché aveva compreso che, a contatto con Gesù, avrebbe attinto una forza tranquilla, un’energia piena di serenità. La vera posta in gioco, non è dunque scegliere tra contemplazione e azione, ma piuttosto lasciare che la presenza di Gesù e la sua parola, trasformino la nostra agitazione piena di inquietudine in questa serena efficacia dei santi.
Perché i santi, tutti i santi, i più grandi come i più nascosti, hanno scoperto questa misteriosa fecondità di un’azione nutrita di contemplazione. Basta pensare a san Bernardo, continuamente strappato al suo monastero e ai fratelli, ma sempre immerso nel mistero del Verbo incarnato! O ancora ricordare l’energia debordante di una santa Teresa d’Avila, infaticabile fondatrice del Carmelo, così spesso rapita in Dio! O, infine, ripensare a santa Teresa di Lisieux, che non è mai uscita dal convento, ma le cui reliquie girano per il mondo, a incontrare tutti gli assetati di Dio!
Il mistero dei santi, non sta nel fatto di aver scelto questo o quello stile di vita, ma nel fatto che sono stati scelti e hanno dato il loro consenso a quella scelta. Ed è ai piedi di Gesù, nel silenzioso ascolto della sua parola, che hanno ricevuto la loro missione. Ed è ancora lì che hanno attinto la forza e il coraggio per portarla a compimento.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)