L’attività della Caritas della diocesi di Cagliari, oltre i progetti di accoglienza e sostegno alle famiglie in difficoltà (fra centri di ascolto e sportelli di finanza etica), inaugura – nel carcere di Uta – con due iniziative una vera e propria linea verde.
I progetti si chiamano Orti sociali e Sbarre fiorite e vanno a inserirsi nel grande filone dei nuovi percorsi di giustizia riparativa ideati e realizzati per facilitare recupero e cambiamento per sta scontando una pena detentiva.
«Orti sociali in carcere», spiega Enrico Albiani, referente per la Caritas «nasce da una proposta di due club del Rotary di Cagliari: ad alcuni detenuti è stata la possibilità (con regolare copertura assicurativa) di lavorare in un grande spazio all’aperto, per un monte ore concordatoo con la direzione del penitenziario. Propedeutico all’impiego, la partecipazione a un corso di formazione tenuto da un agronomo. Un altro aspetto interessante è dato dalla concimazione del terreno non è chimica ma biologica: il letame utilizzato proviene infatti dagli allevamenti della Colonia penale di Isili».
Il lavoro è di per sé una pedagogia di riabilitazione. Consente ai detenuti di compiere un percorso di riscoperta dell’esigenza di cura e pazienza, qualità che in agricoltura sono importanti quanto le cognizioni tecniche. Il toccare con mano il frutto del proprio lavoro, dell’impegno profuso e dei sacrifici compiuti, permette di elevarsi come persone. I detenuti coinvolti si sentono particolarmente motivati anche dal fatto che il raccolto viene destinato, quasi interamente, alla nostra mensa della Caritas.
Il secondo progetto, “Sbarre fiorite”, è interamente pensato dalla Caritas diocesana. Ricalca lo spirito di “Orti sociali in carcere”, ma indirizzato al versante del florovivaismo. Nasce dalla proposta di un volontario della Caritas, occupato nel settore, di coltivare i crisantemi da vaso dentro le mura della Casa di Uta. Una scelta non casuale, in quanto questa coltura è l’unica che si ad una coltivazione in interni.
«Cerchiamo di svolgere tutte le nostre attività in sinergia, confronto e collaborazione con l’amministrazione penitenziaria e con il cappellano», commenta Silvia Piras, referente area carcere e servizio affidati alle misure alternative della Caritas diocesana. «Mi piace pensare che il volontariato sia uno stile di vita. Cercavo un posto nascosto e invece ho trovato un luogo pieno di luce. Il nostro ruolo è quello di essere presenti, ascoltare, offrire empatia, dialogo, momenti in cui i detenuti possano “evadere” mentalmente dalla loro condizione di detenzione. Sono convinta che il cambiamento e la rinascita di ogni essere umano che ha commesso degli errori, dipenda, oltre che da sé, dalla fiducia e dall’opportunità di ricominciare che gli viene concessa. Prendersi cura degli altri, favorirne l’accompagnamento e il reinserimento riducono l’aggressività e il rischio di recidiva, aiuta loro e fa bene a noi».
Luigi Alfonso