Solennità di Tutti i Santi – anno A (1 novembre 2020)
Letture: Ap 7,2-14; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a
Nella devozione popolare, non si distingue molto spesso la solennità di tutti i santi dalla memoria dei nostri cari defunti. E mi sembra che le tre letture di questa solennità ci spiegano perché questa confusione è possibile e forse giusta. Difatti, in ognuno dei tre testi si insiste su un tratto particolare della santità che ogni cristiano potrebbe riconoscere, almeno come inizio o desiderio, nei propri defunti.
Nel testo dell’Apocalisse, san Giovanni insiste sulla “moltitudine immensa che nessuno poteva contare”. In questa moltitudine, c’è certamente un posto per quelli che abbiamo conosciuto e amato. Ci sono certo questi santi che sono stati canonizzati dalla Chiesa, che sono pregati nella liturgia, che hanno fatto cose straordinarie e sono degni di ammirazione. E sappiamo bene che i nostri defunti molto spesso non fanno parte di questo gruppo, perché erano troppo normali, troppo simili alla moltitudine. Però, ciò che desideriamo per loro non è tanto il riconoscimento della Chiesa, ma soprattutto la tenerezza e la comprensione di Dio. In questa moltitudine, i nostri familiari hanno il loro posto accanto a tanti altri che hanno vissuto come potevano la loro fede, anche fragile e povera.
Nella seconda lettura, san Giovanni, di nuovo, ci ricorda la nostra vocazione: vedere “Dio come egli è”, perché “noi saremo simili a Lui”! Diventare simili a Lui, sappiamo molto bene, con la nostra esperienza quotidiana, che è impossibile con le nostre forze. E sappiamo che i nostri defunti hanno fatto anche loro questa esperienza della debolezza umana, della fragilità della carne e dello spirito. Ci vuole forse tutta una vita per riconoscere che questa vocazione è totalmente impossibile, troppo alta per noi. Più andiamo avanti, peggio è! Per questo motivo, san Giovanni aggiunge che ci vuole “questa speranza in lui”. Non dipende da noi, ma dalla sua misericordia. Col tempo, abbiamo sperimentato che non potremo mai meritare ciò che Dio ci ha promesso! E che l’unica via è di sperare in Lui!
Il vangelo ci rivela cosa è questa speranza, e come si manifesta nell’esistenza di ciascuno di noi. Difatti, Gesù ci descrive la felicità del Regno, la beatitudine, non come una pienezza, ma come un desiderio! Nella povertà di chi sente che niente mai ci basterà! Nelle lacrime di chi non riesce a essere completamente felice! Nella mitezza di chi ha rinunciato alla propria violenza interiore e alla propria collera! Nella fame e la sete, cioè nell’insoddisfazione di chi combatte l’ingiustizia! Nel ricominciare ogni giorno a perdonare di chi sente la resistenza del proprio cuore senza misericordia! Nel desiderio di lasciar perdere tutto ciò che sporca la nostra esistenza! Nella pace che fugge tanto spesso il nostro cuore inquieto! Nella libertà che non si lascia vincere dal male! In tutte queste cose, possiamo riconoscere la bellezza del cuore umano, qualcosa che i nostri hanno cercato di vivere e di amare.
In questo ritratto della santità che la liturgia ci ha proposto oggi, possiamo riconoscere, un po’ di questa fede, di questa speranza e di questa carità che ha spinto i nostri defunti sulla via della santità. Una santità spesso nascosta, fragile e molto povera, ma un inizio di buona volontà che Dio aspetta per colmarlo del suo amore!
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena (Pisa)
(www.valserena.it)