Non siamo salvati da ciò che facciamo o doniamo a Dio, ma dalla sua misericordia
III domenica di Quaresima – Anno B (4 marzo 2018) Letture: Es 20, 1-17; 1 Cor 1, 22-25; Gv 3, 13-25
Il verbo usato da Giovanni, nell’originale greco del nuovo testamento, per scacciare i venditori e i cambiamonete dal tempio, è esattamente lo stesso di quello che si usa abitualmente quando Gesù scaccia i demoni o i spiriti impuri. L’uso di questa medesima parola è dunque di grande importanza per capire la reazione di Gesù, per capire ciò che Gesù vuol fare in questo brano del vangelo di Giovanni.
Come nel caso della liberazione di una persona incatenata da spiriti impuri, così, nel caso del tempio, Gesù usa lo stesso metodo per liberare il popolo dal giogo di una certa religiosità, che, invece di aiutare, impedisce un rapporto vero e giusto con Dio.
Spesso, quando si leggono questi versetti di Giovanni, si cerca di giustificare la violenza della reazione di Gesù, ma si dimentica di cercare la ragione di questa collera. Difatti, vedere Gesù mettersi così in collera non corrisponde all’immagine soave che si veicola spesso nei nostri commenti del vangelo. Certo, il Signore è dolce e umile di cuore, ma questo non significa che egli sia senza forza, rassegnato davanti alla realtà. Gesù è venuto nel mondo per salvarci, per liberarci dal potere del nemico. È venuto per ridonarci la libertà di figli, e lo fa rompendo le catene ingiuste, sciogliendo i gioghi troppo pesanti.
E uno dei grandi problemi che Gesù ha voluto affrontare è proprio questo modo di fare soldi con la credulità della gente. E questo non era soltanto una realtà nel tempo di Gesù! I problemi del denaro, di interesse, di potere, rimangono sempre un problema attuale. Certo, ci vogliono soldi per costruire, per trattare, per sostenere il culto. Ma quando il denaro occupa tutto il posto, allora cominciano i problemi. Lo vediamo molto bene nelle sètte che cercano di sfruttare al massimo i loro seguaci. Ma questo pericolo esiste anche per noi.
E non dobbiamo scandalizzarci per questo. La tentazione di trasformare un mezzo utile e necessario in un scopo che attira tutta l’attenzione è sempre presente, per ognuno di noi. La crisi attuale delle nostre economie è un esempio molto chiaro di ciò che succede quando si dimentica che l’economia è al servizio dell’uomo, e non il contrario. E sarebbe strano che i cristiani siano completamente immuni da questo pericolo.
Ma ciò che è già uno scandalo, quando si parla della vita in società, diventa ancora più terribile quando si parla delle relazioni con Dio. Il problema, nel tempo di Gesù, era che la gente si era abituata a questo rapporto quasi commerciale con Dio. Più si spendevano soldi e più si pensava che Dio ascoltasse la preghiera. Ed è proprio a questa logica che Gesù si ribella. Il valore della nostra preghiera non dipende da ciò che doniamo, dal numero delle parole o da ciò che facciamo per Dio, ma dipende solo dall’umiltà del nostro cuore. C’è un’assoluta gratuità del dono di Dio che va aldilà, molto aldilà di ciò che possiamo offrire a Dio. Non siamo salvati da ciò che facciamo o doniamo a Dio, ma dalla sua misericordia. Non si può comprare la grazia e la misericordia di Dio. Davanti a Dio, siamo tutti uguali, perché siamo tutti poveri di fronte alla sua bontà senza limiti! Non possiamo mai meritare la sua grazia!
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)