Domenica XXII del Tempo Ordinario – anno A (30 agosto 2020)
Letture: Ger 20,7-9; Rm 12,1-2; Mt 16,21-27
Vivere una storia con lui, ha un avvio così leggero e liberante: se qualcuno vuole. Se vuoi. Tu andrai o non andrai con Lui, scegli, nessuna imposizione; con lui «maestro degli uomini liberi», «fonte di libere vite» (D.M. Turoldo), se vuoi.
Ma le condizioni sono da vertigine.
La prima: rinnegare se stessi. Un verbo pericoloso se capito male. Rinnegarsi non significa annullarsi, appiattirsi, mortificare quelle cose che ti fanno unico. Vuol dire: smettila di pensare sempre solo a te stesso, di girarti attorno.
Il nostro segreto non è in noi, è oltre noi. Martin Buber riassume così il cammino dell’uomo: «a partire da te, ma non per te». Perché chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.
La seconda condizione: prendere la propria croce, e accompagnarlo fino alla fine. Una delle frasi più celebri, più citate e più fraintese del Vangelo. La croce, questo segno semplicissimo, due sole linee, lo vedi in un uccello in volo, in un uomo a braccia aperte, nell’aratro che incide il grembo di madre terra. Immagine che abita gli occhi di tutti, che pende al collo di molti, che segna vette di monti, incroci, campanili, ambulanze, che abita i discorsi come sinonimo di disgrazie e di morte. Ma il suo senso profondo è altrove.
La croce è una follia. Un «suicidio per amore», sosteneva Alain Resnais. Gesù parla di una croce che ormai si profila all’orizzonte e lui sa che a quell’esito lo conduce la sua passione per Dio e per l’uomo, passioni che non può tradire: sarebbe per lui più mortale della morte stessa. Prendi la tua croce, scegli per te qualcosa della mia vita. Di lui, il coraggioso che osa toccare i lebbrosi e sfidare i boia pronti a uccidere l’adultera; il forte che caccia dal tempio buoi e mercanti; il molto tenero che si commuove per due passeri; il rabbi che ama i banchetti e le albe nel deserto; il povero che mai è entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero; il libero che non si è fatto comprare da nessuno; senza nessun servo, eppure chiamato Signore; il mite che non ha vinto nessuna battaglia e ha conquistato il mondo. Con la croce, con la passione, che è appassionarsi e patire insieme. Perché «dove metti il tuo cuore là troverai anche le tue ferite» (F. Fiorillo).
Se vuoi venire dietro a me…
Ma perché seguirlo? Perché andargli dietro? È il dramma di Geremia: basta con Dio, ho chiuso con lui, è troppo. Chi non l’ha patito? Beato però chi continua, come il profeta: nel mio cuore c’era come un fuoco, mi sforzavo di contenerlo ma non potevo.
Senza questo fuoco (roveto ardente, lampada, o semplice cerino nella notte), posso anche guadagnare il mondo ma perderei me stesso.sì la Parola di Dio, proclamata senza sosta e soprattutto vissuta, riesce pian piano, col tempo, a trasformare le mentalità e a toccare i cuori. Il Salmo dice che si deve seminare senza aspettare di raccogliere subito.
E questo è il terzo elemento fondamentale della spiritualità cristiana: accettare di non vedere subito e di non raccogliere i frutti.L’accettazione dell’imperfezione senza condannare, la scelta del bene in ogni circostanza e la pazienza di fronte al tempo che passa sono tre cose molto difficili per chi non ha ancora accolto la fede nella propria vita. Ci vogliono tante prove, tante delusioni per cominciare a intuire che questa via è la via giusta! Infatti, dobbiamo prima rinunciare ai nostri sogni di santità, per poter entrare in questo cammino di intimità con Cristo che è Colui che ci guida, la via, la verità e la vita!
Ermes Ronchi