C’è un particolare, nelle pieghe dell’affaire Becciu che, se svelato, potrebbe aprire nuovi e ancor più inquietanti scenari su una vicenda che, a due mesi da quel drammatico colloquio a Santa Marta, sta riservando colpi di scena quotidiani.
A sollevare il coperchio di questa diabolica pentola è stato il quotidiano “Libero” al momento biblica «voce che grida nel deserto», le cui pagine sono state però scaricate su quasi tutti i computer della Città del Vaticano.
Il particolare riguarda orario e data di pubblicazione di un post di apertura sulla pagina prima del sito internet de L’Espresso.
Quel 24 settembre, alle 18, l’allora Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santo, cardinale Angelo Becciu, aveva in calendario la consueta udienza con Papa Francesco nella residenza di “Casa Marta”. Alcune beatificazioni e canonizzazione l’argomento in agenda.
Da quel colloquio uscirà un Becciu massacrato, come uomo di chiesa prima di tutto, costretto – di fronte ad accusa tanto infamanti che incrinano la fiducia del Papa – a rimettere nelle mani di Bergoglio la berretta cardinalizia e ogni incarico fino a quel momento ricoperto in seno a Santa Romana Chiesa.
Singolare, sorprendente che – otto ore prima di quell’udienza (7 ore e 50 minuti per la precisione) il sito Espresso parlasse già di dimissioni di Becciu nelle mani di un Papa che senza indugi cacciava i mercanti dal tempio. Non bastasse, ancora due ore abbondanti prima dell’udienza papale, ancora il sito titolasse «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso».
Come è possibile?
Sono le prima delle dodici poco apostoliche domande che Libero pubblica, tutte in attesa di risposta.
Becciu, al momento, scrive «che si attiene al mandato del silenzio» annunciando all’agenzia Zenit di aver intrapreso azioni legali di risarcimento «conscio che la strada della risalita sarà dura», scrive, ma convinto che «alla fine vincerà la verità».
Qualcosa però, anche in Vaticano, sembra muoversi seppure con la proverbiale cautela e prudenza.
In un’intervista televisiva, l’ex segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino – oggi per nomina del Papa dal 26 giugno 2018 presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica – intervenuto per parlare della “economia di Francesco” ha categoricamente smentito che i poveri siano stati depredati smentendo quindi le affermazioni che dietro spericolate operazioni immobiliari ci fosse l’uso dell’Obolo di San Pietro, portafoglio personale del Papa.
Seguiranno, c’è da essercene certi, altre puntate.