L’orgoglio è la più terribile delle malattie spirituali, perché non vede e non riconosce più la presenza di Dio.
14ma Domenica Tempo Ordinario – Anno B (8 luglio 2018) – Letture: Ez 2,2-5; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6
Nelle letture di questa domenica, la liturgia ci offre un panorama dei diversi tipi di resistenza alla parola di Dio. Il profeta Ezechiele, l’apostolo Paolo e il Signore Gesù stesso hanno dovuto affrontare la ribellione e la resistenza dell’umanità alla salvezza. Per questo motivo non dobbiamo essere stupiti che oggi ancora, nel nostro mondo, ci sia questo rifiuto spesso indifferente, ma anche molto violento di fronte al vangelo.
Ezechiele, come tutti i profeti dell’Antico Testamento, ha fatto l’esperienza dolorosa della resistenza e del disprezzo del suo popolo. Non era il primo che sperimentava la durezza di cuore e la malizia del suo popolo. Sin dalla creazione del mondo, gli uomini hanno resistito all’amore di Dio, si sono nascosti e hanno disobbedito ai comandamenti del Creatore. La lunga storia di Israele attraverso i secoli è proprio una storia di tradimenti e di ritorni. Ma questa storia è lo specchio della nostra storia con Dio. La nostra storia è anche fatta, come quella del popolo eletto, di tanti tradimenti, di tante fughe, di tanti rifiuti.
Ma a questa resistenza alla parola di Dio si deve aggiungere un’altra resistenza, più intima e più nascosta. Questa seconda ribellione, Paolo la chiama una “spina nella carne”. Questa esperienza della fragilità, della debolezza non solo della carne, ma anche della volontà, dell’amore e del desiderio ci obbliga a guardare la nostra indifferenza o le nostre trasgressioni in un modo un po’ diverso. Perché facciamo tutti l’esperienza che anche quando lo Spirito ci porta al bene, c’è qualcosa nel più profondo di noi che resiste e cerca di fuggire, qualcosa che sceglie la morte invece della vita.
Per questo motivo, ci vuole poco, pochissimo, per rinunciare, tornare indietro, fermarci e scoraggiarci.
A questa fragilità umana universale, che possiamo chiamare carnale o psico-affettiva, si aggiunge ancora un altra resistenza molto più strana. L’evangelista Marco la descrive nel brano di oggi. Per i suoi concittadini, Gesù è stato oggetto di scandalo e di disprezzo.
I miracoli che faceva non riuscivano a toccare il loro cuore. E c’è una frase terribile che constata la realtà: “e lì non poteva compiere nessun prodigio”. Dietro questa constatazione, c’è una scoperta dolorosa per il Signore: la scoperta della resistenza spirituale di chi si chiude nella superbia. L’orgoglio è la più terribile delle malattie spirituali, perché non vede più, non riconosce più la presenza di Dio.
Quando l’uomo crede di poter essere come Dio, quando non ascolta più e pensa che tutto dipende solo da lui. Quando dimentica che viene dalla polvere e tornerà alla polvere. Quando sogna di vivere in eterno, di controllare la materia e il tempo con le proprie forze. Allora la parola di Dio diventa inaudibile. La Chiesa diventa per lui solo una organizzazione sociale e politica tra tante altre. Il vangelo si trasforma in ideologia senza sapore. Tutto è ridotto allo stesso livello e non c’è più niente che si oppone alla propria volontà di potenza e di distruzione. Ma tutto questo non è una fatalità.
Basta che ci sia un uomo che riconosca il proprio limite, come Paolo nella sua lettera, perché l’amore di Dio sia manifestato di nuovo in questo mondo.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)