Domenica 31esima del Tempo Ordinario – anno C (3 novembre)
Letture: Sap 11, 22-12, 2; 2 Ts 1, 11; 2, 2; Lc 19, 1-10
La storia di Zaccheo è una storia di sguardi. Difatti, la sua storia comincia quando egli cerca di vedere Gesù che sta attraversando la città di Gerico. Il vangelo ci dice che Zaccheo era piccolo di statura, e dunque non poteva vedere nulla. Il fatto di essere capo dei pubblicani e di essere ricco non gli serviva affatto per vedere Gesù. Ma Zaccheo non si è lasciato scoraggiare. È salito su un albero, un sicomòro per poter vedere. E questo sforzo di Zaccheo è stato ricompensato, non solo perché Gesù l’ha visto, ma soprattutto perché lo sguardo del Signore si è fermato su lui e Gesù gli ha parlato. I
l desiderio di vedere Gesù è stato, per Zaccheo, non solo l’inizio della sua avventura interiore, ma anche l’inizio di una nuova relazione con gli altri.
Spesso, noi non abbiamo il coraggio di Zaccheo.
Ci lasciamo vincere dal nostro sentimento di colpevolezza, dal peso di tutto ciò che è oscuro e cattivo nella nostra vita, o preferiamo rimanere lontani e nascosti per fuggire lo sguardo di Gesù. Ci manca questa forma di umiltà che ci permetterebbe di mettere sotto gli occhi del Signore le nostre piaghe, le nostre miserie, il nostro peccato. Ci manca questa fede semplice e umile che osa spogliarsi davanti a Dio. Forse perché abbiamo anche paura di dover cambiare!
Nel vangelo, però, Gesù non esige niente da parte di Zaccheo. Viene a casa sua senza chiedere nulla, senza porre nessuna condizione. È proprio la presenza gratuita e umile del Signore che trasforma il cuore di Zaccheo. Di fronte a Gesù, tutto ciò che gli sembrava normale e necessario, nel suo ruolo di pubblicano, prende subito un’altra dimensione. Capisce il male che ha fatto alla luce del bene che Gesù gli sta facendo. Zaccheo vede adesso in un modo completamente diverso la sua esistenza. Lo sguardo di Gesù ha trasformato il proprio sguardo su se stesso e sulla sua vita. Zaccheo voleva vedere Gesù, Gesù ha guardato Zaccheo, e lo sguardo di Zaccheo è stato cambiato.
Questa conversione dello sguardo, di fronte alla presenza di Gesù, non è però automatica. Le critiche delle persone, che non capiscono come Gesù possa entrare nella casa di un peccatore, sono la prova che non basta essere con Gesù per essere trasformato. A loro manca qualcosa di molto importante che impedisce loro di vedere. Rimangono ciechi perché non riconoscono il proprio peccato.
Il Signore lo dice in un modo molto chiaro: “E’ venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”! Ma chi non è consapevole di essersi allontanato, chi non si sente perduto, rimane lontano da Gesù. Chi non ha fatto l’esperienza della propria povertà, della propria debolezza, non è capace di accogliere il Signore nella sua casa. Rimane estraneo alla storia della salvezza, perché è rimasto estraneo a se stesso. Non si è accorto che aveva anche bisogno di essere salvato. Pieno di sé, della pretesa della propria giustizia, non può riconoscere che fa parte, come Zaccheo, del popolo dei poveri peccatori. I santi, che abbiamo celebrato qualche giorno fa, sono sempre stati molto consapevoli della propria povertà spirituale. Hanno saputo, come Zaccheo, andare verso il Signore e mettersi sotto lo sguardo di Gesù, pieni di fiducia e di fede. mettersi sotto lo sguardo di Gesù, pieni di fiducia e di fede.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena (Pisa)
(www.valserena.it)