Una nomina, così tanto attesa dalla chiesa di Gallura, che arriva – e non è certamente casuale – l’11 luglio, festa di san Benedetto, patrono d’Europa.
Perché sarà appunto un 60enne monaco benedettino, del ramo dei Camaldolesi, raffinato teologo, a guidare la storica diocesi di Tempio-Ampurias ma con il suo baricentro decisamente spostato su Olbia e la Gallura costiera.
Diverse le considerazioni attorno alla scelta di padre Roberto Fornaciari, cognome emiliano che rimanda inesorabilmente alla pop star Zucchero, non foss’altro che per le comuni origini emiliane.
Intanto perché a guidare una chiesa locale isolana è stato chiamato ancora un religioso, oltre che un non sardo. E, scelta ancor più inusuale, un monaco benedettino, alla scuola di quella regola universale dell’ora et labora, ancorché riformata da san Romualdo.
Dopo il salesiano Mauro Maria Morfino, guida della diocesi di Alghero-Bosa e il francescano conventuale Roberto Carboni, arcivescovo di Oristano e della congiunta diocesi di Ales-Terralba, ecco quindi un terzo religioso vescovo (su sette, senza contare gli emeriti) entrare nella compagine della Conferenza Episcopale Sarda.
Per parola dell’uscente Sebastiano Sanguinetti, dopo una lunghissima proroga, è stato Papa Francesco a seguire «personalmente» l’iter di questa nomina andando a «pescare» fra i monaci camaldolesi il nuovo vescovo tempiese.
Azzardato ipotizzare, infatti, che nelle “terne” inviate alla Santa Sede dai vescovi sardi e da consultori a vario titolo vi figurasse il nome di padre Sergio Fornaciari: un segnale inequivocabile di come, fra il clero locale, non sia riuscito a emergere, negli anni della prorogatio di monsignor Sanguinetti, un nome che godesse almeno di un apprezzamento largamente condiviso.
Di qui la scelta “romana” di una figura – terza ed esterna alla Sardegna – chiamata a reggere la chiesa locale oggi, forse, la più continentale ed europea, quella più in crescita (non un caso le recenti, nuove presenze di Cappuccini e Salesiani) e quindi maggiormente esposta alle moderne sfide economiche e sociali. Di qui l’aver individuato una figura di alta spiritualità che, proprio in forza della regola monastica del suo ordine, è in grado di coniugare anche pastoralmente “contemplazione e azione”.
Allo “scacchiere” isolano manca adesso la diocesi di Iglesias, affidata al “commissario-cardinale” Arrigo Miglio dopo le dimissioni di monsignor Giovanni Paolo Zedda. Chiesa locale dagli enormi e irrisolti problemi sociali, su tutti la crisi industriale e post-industriale, anch’essa in attesa di conoscere il nome della sua nuova guida a un anno quasi (era il 6 ottobre 2022) dalla nomina dell’amministratore apostolico.
Anche in questo caso difficile ipotizzare scenari.
Non c’è nessuno, o quasi, che veda nel futuro di breve o medio termine un accorpamento della diocesi iglesiente con quella cagliaritana. Soprattutto dopo la nomina dell’attuale arcivescovo Baturi a segretario nazionale della Conferenza Episcopale Italiana. Sarebbe un ulteriore aggravio di lavoro e di responsabilità, allo stato attuale delle cose, impensabile.
Mentre invece riprenderebbe vigore l’accorpamento della “piccola” Ozieri con l’arcidiocesi di Sassari, proprio per “bilanciare” la forte espansione della chiesa gallurese. In questo caso, il suo attuale pastore, monsignor Corrado Melis, verrebbe destinato a guidare la diocesi di Iglesias e porre così fine al suo attuale commissariamento.