CRISTO, LO SCANDALO DI UN RE SULLA CROCE

E se fosse davvero re? Questo interrogativo, Pilato non era il primo a porselo.
34ma domenica: Solennità CRISTO RE DELL’UNIVERSO (25 novembre 2018) – Letture: Dn 7, 13-14 ; Ap 1, 5-8 ; Gv 18, 33-37

Di re, Pilato ne aveva incrociato più d’uno nella sua lunga carriera. Anche incatenati, anche vinti e sottomessi alla potenza dell’impero romano, non assomigliavano per nulla a quell’uomo che si trovava davanti a lui, accusato dai capi del popolo. E così, la domanda che gli era quasi sfuggita dalla labbra aveva qualcosa di incongruo: «Sei tu il re dei giudei?».
In effetti, l’uomo che aveva sotto gli occhi non aveva assolutamente nulla in comune con quei re della terra il cui apparato suscitava lo stupore e il timore della folle. Quel Gesù che compariva davanti al tribunale di Roma, consegnato dai capi del suo popolo, non aveva nulla di tutto questo. Eppure, Pilato non riusciva a staccare lo sguardo da quell’uomo. Qualcosa in lui lo affascinava…
E se fosse davvero re?

Questo interrogativo, Pilato non era il primo a porselo.
Le folle che si accalcavano attorno a Gesù, dopo che aveva moltiplicato i pani, non avevano forse avuto l’intenzione di farlo re? E, invece, Gesù si era ritirato nella solitudine della montagna, sottraendosi al tumulto degli uomini.
A questo interrogativo, i discepoli stessi non avevano risposto cercando di assicurarsi i primi posti alla sua destra e alla sua sinistra?
No! La domanda di Pilato non era poi così assurda. E le folle che avevano scortato Gesù a cavallo di un asino, mentre entrava a Gerusalemme, non avevano fatto che proclamare quello che tutti mormoravano di nascosto.
Sì! C’era qualcosa di regale in Gesù, qualcosa di grande che lasciava interdetti tutti coloro che lo incontravano.

Ed ecco che Gesù stesso, prigioniero di fronte a Pilato, non smentiva. Era davvero re, ma subito precisava: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Per Pilato e per tutti coloro che lo attorniavano, quella dichiarazione di Gesù apriva prospettive insospettate e non poteva che accentuare ulteriormente il mistero. E così, esisteva un altrove, un altro mondo, differente da questo “qui” dove erano soliti collocarsi. Questo mondo qui non era il solo esistente. Ce n’era un altro in cui Gesù era re.

Bruscamente, con quelle semplici parole, Gesù aveva aperto a tutti gli uomini nuove dimensioni della loro esistenza. Lungi dal ridursi a questo mondo in cui la legge del più forte e del più abile detta tutti i comportamenti, l’esistenza umana ritrovava tutta la sua ampiezza: quella larghezza, quell’altezza e quella profondità che san Paolo evocherà un giorno in una delle sue lettere.

Di quell’altra realtà, di quell’altra maniera di essere uomini, di essere, semplicemente, i testi apocalittici cercano di dirci qualcosa. Ma come parlare di quest’altro mondo con il linguaggio di questo mondo qui? Come spiegare, in termini di giustizia e di potere, un regno la cui legge unica è quella dell’amore? Come descrivere, in termini di dominio e di potenza, un regno dove regnare significa dare la propria vita su una croce? Come evocare, in un mondo che passa e cambia incessantemente, il fatto che questo amore è più forte della morte? Gesù è davvero re, ma il suo regno non è di qui. E forse c’era bisogno di quel lungo silenzio della passione, di quella lunga agonia all’orto degli Ulivi, e di quella solitudine infinita sulla croce, perché comprendessimo finalmente che questo regno non ha nulla a che vedere con i nostri sogni di potenza e di gloria, che non potrebbe venire da questo mondo!
Perché questo mondo passerà, ma Cristo non passerà mai!

Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena

(www.valserena.it)

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