Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – anno A (14 giugno 2020)
Letture: Dt 8, 2-16a; 1 Cor 10, 16-17; Gv 6, 51-58
Di solito, il pasto che prendiamo ogni giorno ha due significati principali. Se mangiamo, è perché abbiamo bisogno di nutrirci per vivere. La prima qualità di un cibo è proprio di sfamare, perché la vita possa continuare. Questo era il primo scopo della manna di cui parlava la prima lettura tratta dal libro del Deuteronomio. Per il popolo di Israele, la manna era diventata il segno concreto della provvidenza di Dio, anche in un luogo così ostile come il deserto. Nel ricevere il pane quotidiano, Israele aveva imparato a vivere dalla mano di Dio.
Ma c’è un secondo significato del pasto, che ritroviamo soprattutto nella seconda lettura, nella lettera di Paolo ai Corinzi. L’apostolo insiste, difatti, sulla dimensione di comunione di ogni pasto umano, e molto di più sulla dimensione di comunione con Dio. Difatti, mangiare insieme ha un senso molto profondo nell’esistenza umana. Quando vogliamo celebrare qualcosa di importante per noi, organizziamo un pranzo. Il cibo non serve solo a sfamare il corpo, ma sfama anche il cuore che ha bisogno di sentirsi in comunione con le persone care. E questo vale ancora molto di più con Dio.
Ogni domenica, l’eucaristia esprime questo desiderio che abbiamo di vivere in comunione non solo gli uni con gli altri, ma anche con il Signore stesso.
Se il Signore Gesù ha scelto il sacramento dell’eucaristia per sostenere la sua Chiesa e ognuno di noi, e celebrare la comunione tra noi e con Dio, non è per caso. L’eucaristia è per noi non solo il sacramento della vita ricevuta da Dio, nella sua provvidenza, ma è anche il mezzo particolare scelto da Dio per entrare in comunione con noi, con ognuno di noi. Senza l’eucaristia, ognuno di noi sarebbe da solo di fronte alla sua esistenza, ma anche di fronte a Dio. Invece, nell’eucaristia, Dio fa di noi un popolo santo, un tempio vivo, un corpo di gloria.
Ma ci sono due altre dimensioni che non si ritrovano nel pasto umano. Difatti, tutti i pasti non sono sacrificio, cioè offerta volontaria a Dio. Spesso, si insiste sull’aspetto di perdita, di morte del sacrificio, ma si dimentica che il primo senso del sacrificio è di offrire all’essere amato ciò che è prezioso per noi. Nel sacrificio, si dà certo qualcosa ma si riceve molto di più, cioè il dono prezioso della relazione con Dio. Cristo, essendo Dio e uomo, è nello stesso tempo colui che offre e ciò che ci è offerto.
E il grande paradosso di questo meraviglioso scambio è che, invece di essere segno di morte e di assenza, il sacrificio di Cristo diventa presenza e dono di vita!
Egli ha dato la vita per tutti, una volta per sempre! E ogni volta che celebriamo, questo dono di vita e questa presenza ci sono offerti. Per questo, l’adorazione eucaristica è molto importante per noi, perché è il luogo in cui si può sperimentare questa presenza reale e potente di Dio nella nostra vita.
Dio è là, presente, e ci aspetta, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Egli non esige niente, non impone niente: rimane là, presente, per noi, per ognuno di noi. Non c’è bisogno di chiedere un appuntamento o di aspettare il proprio turno. Dio c’è! Non fa aspettare nessuno, ma è sempre disponibile, sempre presente per ascoltare, consolare, aiutare. È là per noi!
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena (Pisa)
(www.valserena.it)