Esplode anche a Cagliari la rivolta dei migranti. Protagonisti una cinquantina, fra eritrei e somali che, partiti dall’albergo di Pirri dove erano ospitati, diretti verso la via Roma hanno chiesto di poter lasciare la Sardegna senza essere identificati. Risultato: bloccata la via Roma e il largo Carlo Felice, la città è rimasta paralizzata per delle ore.
Proteste degli automobilisti, costretti a ulteriori slalom oltre quelli causati da tutti i cantieri aperti in centro storico. Le Forze dell’ordine hano dovuto effettuare qualche piccola carica per sedare gli inevitabili focolai di tensione.
Cagliari, e con lei l’intera Sardegna, non può illudersi di ignorare o esorcizzare questo problema: l’ultima manifestazione è solo il preludio a quello che sarà un fenomeno con il quale non dobbiamo rassegnarci a convivere ma che – anche come comunità cristiana, alla luce delle parole di Papa Francesco – abbiamo tutti il dovere di contribuire a governare.
E proprio Papa Francesco non si arrende a quella che ha definito globalizzazione dell’indifferenza e prepara la sua visita, il prossimo 15 aprile, per «risvegliare le coscienze, insensibili e narcotizzate» e non spezzare il dialogo con l’Islam, rifiutando di fare propria la visione del mondo dei fondamentalisti che invocano la guerra di religione.
«Penso a tanti emarginati, profughi, rifugiati, a coloro dei quali molti non vogliono assumersi la responsabilità», aveva detto Papa Francesco alla Domenica delle Palme, richiamando l’Europa alla responsabilità, alla sua «vocazione di universalità e di servizio».
Per questo, nel Giovedì Santo, ha scelto di lavare i piedi a un gruppo di profughi, compresi tre islamici e un indù.
La linea della Santa Sede, al contrario di una politica sempre più divisa tra falchi e colombe, è chiara.
Il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del pontificio Consiglio per i migranti, è stato durissimo nel commentare alla Radio Vaticana l’accordo tra Unione europea e Ankara: «Questi poveri migranti profughi sono persone, non merce».
Francesco chiede ai Paesi europei «una risposta corale» per «distribuire equamente i pesi» dell’accoglienza.
A Cagliari un primo, piccolo segnale – nel segno di quella carità silenziosa ma efficace – arriva dalla Congregazione delle Figlie della Carità. Nella loro Casa Provinciale di Cagliari, in Via dei Falconi, è stato allestito un appartamento per l’accoglienza di una prima famiglia di profughi sbarcati in città.
Un esempio che, se seguito da parrocchie e istituti religiosi, spesso titolari di immobili chiusi e non più fruibili, potrebbe essere più di un segnale di risposta concreta al tema dell’accoglienza dei migranti.
(p.m.)