Ascensione: partire e rimanere, salire ma anche stare sempre quaggiù

ASCENSIONE DEL SIGNORE  – Anno C – 29 maggio 2022   Letture: At 1,1-11; Eb 9,24-28.10,19-23; Lc 24,46-53

Nelle letture di questa domenica ci sono diversi modi di raccontare l’Ascensione del Signore. Il versetto degli Atti degli Apostoli è molto sobrio. Dice semplicemente: “mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi”. Nel suo vangelo, lo stesso autore degli Atti, San Luca, sviluppa un po’ di più il racconto: “mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. L’autore dell’epistola agli Ebrei invece descrive questo evento attraverso il suo significato teologico, cioè “Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore”.

Dietro questi tre racconti, tre modi di parlare, c’è questa stessa realtà dell’Ascensione del Signore. Colui che prima stava con i discepoli, poi non c’è più. È salito, è entrato in cielo. L’evangelista Marco dice che “fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio”. Giovanni, nel suo vangelo, aggiunge un altro aspetto nel dialogo con Maria di Màgdala “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre!”, e poi “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Ma Giovanni insiste anche sul fatto che il Signore deve partire perché venga lo Spirito Santo! Però, nel vangelo di Matteo, Gesù sottolinea un altro aspetto quando dice nell’ultimo versetto “Ed ecco, sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!”

Da tutto questo possiamo trarre alcune cose molto importanti per noi. Difatti, prima di partire o di salire o di tornare verso il Padre, Gesù manda i suoi discepoli. L’Ascensione del Signore è legata alla missione della Chiesa. Perché la tentazione dei discepoli potrebbe essere quella di gioire della sua presenza e di dimenticare il motivo della sua venuta, cioè la salvezza del mondo. La grazia ricevuta non è mai una grazia fine a se stessa, ma viene concessa per essere condivisa e trasmessa. Dietro il racconto dell’Ascensione, c’è dunque il significato dell’Incarnazione del Figlio di Dio. È venuto per noi, e noi siamo chiamati a vivere per trasmetterlo a quelli che non lo conoscono.

C’è anche un’altra realtà che possiamo sperimentare anche noi, ma che rimane un mistero. Il Signore risorto deve andarsene perché venga lo Spirito Santo, ma nello stesso tempo, rimane con noi fino alla fine del mondo. Partire e rimanere. Salire e nello stesso essere sempre quaggiù. Queste espressioni ci lasciano perplessi. La nostra intelligenza capisce difficilmente questo modo di essere presente nell’assenza. Però significa una realtà molto importante per noi, perché la distanza tra Dio e noi, tra il cielo e la terra, tra il tempo e l’eternità, viene così cancellata, eliminata, in Cristo vero Dio e vero uomo, una volta per sempre.

Dom Guillaume – Cappellano Monastero Cistercense di Valserena (Pisa)
www.valserena.it

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