Il prossimo 27 settembre riprende, in Vaticano, il “processo Becciu”. Riparte in un clima quasi surreale, avvolto com’è in una solida cappa di silenzio rotto, sporadicamente, da qualche articolo sulla stampa nazionale.
L’ultimo quello di Vittorio Feltri (forse l’unico che non ha mai “mollato” su questa vicenda) che azzarda un parallelo, agghiacciante, fra Becciu e Enzo Tortora con quella sinistra sequenza: «condanna in primo grado, assoluzione in appello, morte dell’innocente».
Scrive Feltri: «Dopo tre anni dalla esibizione della sua testa tagliata e due dall’inizio del processo, siamo alla fase finale. Non credo ci sia nessuno che osi pensarlo colpevole, dopo aver assistito allo spettacolo indecente e volgare dei (delle!) testimoni d’accusa e alla violenza verbale del Pubblico ministero.
Sette anni e tre mesi di reclusione è, infatti, quanto chiesto dal promotore di giustizia Vaticana, Alessandro Diddi, in quello che è stato definito «il maggior processo mai celebrato nello Stato pontificio per reati in campo finanziario». Ma anche il primo che vede alla sbarra anche un cardinale, ovvero Giovanni Angelo Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto delle Cause dei Santi.
Accusa, scrive ancora Feltri, che «non ha trovato un solo centesimo nelle tasche di Becciu e i 100mila euro destinati alla Caritas di Ozieri dall’allora Sostituto alla Segreteria di Stato, restano lì, intatti, pronti per essere usati a fin di bene dal vescovo di quella chiesa locale.
«Le richieste del promotore di giustizia non tengono conto degli esiti del processo, che ha dimostrato l’assoluta innocenza del cardinale per l’operazione relativa al Palazzo di Londra e per ogni altra accusa», hanno dichiarato i legali Maria Concetta Marzo e Fabio Viglione, difensori del cardinale Becciu. «Sulla base di teoremi clamorosamente smentiti in dibattimento, il promotore di giustizia ha continuato a sostenere una tesi sganciata dalle prove e ne prendiamo atto. Quanto alle richieste del Promotore, neanche un giorno sarebbe una pena giusta. Solo il riconoscimento dell’assoluta innocenza e l’assoluzione piena rispecchiano quanto accertato in modo chiarissimo. Il cardinale è stato sempre un fedele servitore della Chiesa ed ha sofferto in silenzio, difendendosi nel processo e partecipando attivamente alle udienze. Sottoponendosi per diverse giornate ad estenuanti interrogatori ha chiarito ogni equivoco, dimostrando assoluta buona fede e correttezza», concludono gli avvocati.