Dietro un desolante quotidiano, dove si moltiplicano episodi di gratuita, ormai abituale violenza, si staglia un universo di preadolescenti e giovanissimi che pare perdersi, ogni giorno di più, in un far-web senza regole, principi morali, punti di riferimento.
Le storiche agenzie educative (famiglia, scuola, oratorio, parrocchie, ma anche associazioni, sezioni di partito, società sportive) vivono una paurosa, perché quasi irreversibile, crisi di identità vagando dentro questa galassia virtuale che tutto avvolge e tutto sembra invadere, senza ormai alcun freno inibitorio.
In questo inquietante scenario, papa Francesco ha approvato i decreti che portano alla canonizzazione di Carlo Acutis, un ragazzino morto a 15 anni di leucemia fulminante.
Nato a Londra nel 1991 da un’agiata famiglia della borghesia milanese, ha tutto per essere “un figlio di papà”, un fighetto lo definirebbero i suoi coetanei: bella vita, vacanze in giro per il mondo, case al mare e in montagna, scuole prestigiose.
E invece, fin da piccolissimo, emerge una personalità che già lascia intravedere -nonostante la brevità della vita – i segni luminosi di una sconvolgente santità.
Nel segno di una ordinaria normalità e un’armonia interiore disarmanti.
A sette anni, grazie a un permesso speciale, fa la sua Prima Comunione: «da quel momento» – scrivono tutte le sue biografie – «non lascerà passare un giorno senza partecipare alla Messa». Scriverà, con una maturità che lascia attoniti, «l’Eucaristia è la mia autostrada per il cielo».
Non un “primo della classe”, Carlo eccelle subito nelle materie scientifiche, informatica su tutte, «un vero genio della materia, non essendogli estraneo nulla della nuova tecnologia digitale». Chi l’ha conosciuto e frequentato parla di un «ragazzo sano e sveglio, senza pose, sempre attento a non giudicare nessuno, mille miglia distante dall’esibirsi e primeggiare: non era un “santino” artefatto, ingessato, estraniato dalla vita».
Da san Francesco d’Assisi – cittadina nella quale è sepolto – aveva imparato ad amare gli ultimi, i più emarginati, gli esclusi, al di là della loro religione o nazionalità.
Restano incise a lettere di fuoco alcune sue affermazioni, veri link della sua santità così precoce: “Non io ma Dio”, amava ripetere come un mantra a racchiudere il suo tesoro interiore, convinto com’era che la santità non è aggiungere qualcosa all’uomo, ma togliere per lasciare spazio a Dio. O ancora, con quella profetica provocazione per sé e per gli altri giovani, “tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie».
Mago del computer, realizzò una Mostra sui miracoli eucaristici che ha viaggiato virtualmente in tutti i continenti consacrandolo come patrono del web e protettore di tutti i cybernauti.
«Morirò giovane», ripeteva mentre riempiva la sua giornata fra i poveri della mensa Caritas, i bambini dell’oratorio, i ragazzi del catechismo. Colpito da leucemia fulminante, gambe e braccia gonfi e pieni di liquido, alla domanda: “Come stai?», con la solita pacatezza rispondeva: «Come sempre, bene!». Pochi giorni prima ebbe la serenità di dire: «Muoio sereno perché ho vissuto la mia vita senza sciupare neanche un minuto di essa in cose che non piacciono a Dio».
Il miracolo che, a neanche quattro anni dalla beatificazione, lo farà santo della Chiesa universale ha il volto di un bimbo brasiliano affetto da “stenosi duodenale da pancreas anulare incompleto, vomito continuo e malnutrizione grave”. Toccata una reliquia del beato Carlo, il 12 ottobre del 2013, giorno anniversario della sua morte, è arrivata la guarigione «rapida, completa (funzionale e anatomica) e duratura, non spiegabile scientificamente».
Paolo Matta