SOLENNITÀ DI PENTECOSTE – Anno A – 28 maggio 2023
Letture: At 2, 1-11; 1Cor 12, 3-13; Gv 20, 19-23
La stanza era davvero troppo grande per loro! Infatti, non erano più che un pugno di superstiti: alcune donne e quanto restava del gruppo degli apostoli. Giuda aveva tradito e si era impiccato, Tommaso non era venuto e gli altri discepoli erano finiti non si sa dove. Dell’immensa folla in festa che aveva gridato «Osanna!», sulla strada per Gerusalemme; dei cinquemila uomini che erano stati soggiogati dalla moltiplicazione dei pani e avevano cercato di farlo re, non rimaneva che quel gruppetto spaurito, barricato in casa per paura dei giudei. Quei fedeli della prima ora erano anche gli ultimi. Malgrado il logoramento, la paura e il dubbio, erano lì. Era per abitudine? O forse per prolungare ancora per un po’ di tempo, quella sensazione di felicità intensa che aveva sconvolto la loro vita? Oppure era perché la loro speranza era stata risvegliata dall’annuncio di Maria di Magdala: «Ho visto il Signore, ecco quello che mi ha detto»?
Eppure, la storia sacra – come del resto anche le nostre vite –, aveva familiarità con questi grandi vuoti in cui tutto sembra irrimediabilmente perduto. Abramo, Mosè, Elia e molto altri giudici e profeti non avevano ricevuto la chiamata dell’Altissimo mentre si sentivano soli, privi di tutto, senza forza?
E Dio non aveva spinto la sfida ancor più lontano quando aveva chiesto a Gedeone di rimandare a casa la maggior parte del suo minuscolo esercito venuto a combattere le orde dei filistei? In questo modo, la vittoria non avrebbe potuto essere attribuita al coraggio e all’abilità degli uomini, ma solo alla benevolenza di Dio (Gdc 7,1-8).
A noi che, come il re Davide (2Sam 24), passiamo il tempo a calcolare le nostre forze, a misurare il nostro impegno, a economizzare le nostre energie, e, in questo modo, immaginiamo di poter andare più lontano, il Signore propone anche questa sfida della debolezza, dello scoraggiamento, dell’abbandono. E se i nostri ranghi si fanno più radi, se il dubbio e l’angoscia attanagliano talvolta i nostri cuori, forse questo è già il primo segno che Dio attende «l’ora di farci grazia», di effondere anche su di noi il soffio del suo Spirito.
Tuttavia, perché giunga una nuova Pentecoste, non basta rinunciare all’onnipotenza che pretende di dominare il corso della storia e accogliere questa debolezza. Sulle orme delle prime comunità cristiane, dobbiamo rinunciare anche a questa stessa debolezza che rischia di ripiegarci su noi stessi.
Ed è mentre erano in preghiera insieme, come Chiesa, riuniti dallo stesso amore di Gesù, che lo Spirito di fuoco è sceso a travolgere i dubbi e le paure che li tenevano prigionieri. E mentre vegliavano insieme nella notte, lottando contro il sonno e la stanchezza, che si è levato un grande vento e ha scosso il loro torpore. Perché «quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro», ci dice il Signore Gesù. E affinché possiamo riconoscerlo e proclamare che «Gesù è il Signore», ci invia il suo Spirito: Spirito di luce e di vita, Spirito di forza e di dolcezza.
In quel grande corpo che è la Chiesa, Dio ha affidato a ciascuno di noi una missione. Agli oranti e ai monaci ha chiesto di essere assidui nella veglia, sentinelle che attendono lo Spirito, affinché la forza di Dio riempia tutte le membra del suo corpo e, nel vortice dello Spirito, «la Buona Novella sia annunciata ai poveri», e tutti gli uomini siano «dissetati dall’unico Spirito».
È sufficiente chiedere senza mai stancarci, saldi su questo amore della persona di Gesù attinto alle sorgenti dei sacramenti: la sua parola e il suo corpo dato. Allora, come Mosè sostenuto dai due compagni, con le braccia levate verso il Padre, anche noi avremo la possibilità di vedere la forza di Dio all’opera nel nostro mondo. Per far sì che arrivi questa nuova Pentecoste di cui il mondo ha un immenso bisogno, perché ci sia questa straordinaria effusione dello Spirito, è ora di uscire dal nostro sonno, di lasciarci infiammare da quel fuoco che Gesù è «venuto a portare sulla terra». E siccome non vediamo l’ora, anche noi, possa egli infiammare tutti gli uomini, fino ai confini della terra!
Dom Guillaume
cappellano monastero cistercense “N.S. di Valserena” (Pisa)