In copertina la vignetta pubblicata da un’autorevole testata parigina, essenziale e graffiante, dove il papa – in questo caso Giovanni Paolo I – «a terra, privo di vita, gli occhiali in frantumi accanto al suo corpo schiacciato da un’enorme tiara». Giovanni Maria Vian, storico e direttore emerito de L’Osservatore Romano, ha presentato il suo ultimo libro, dedicato ad Albino Luciani. Con lui nell’Aula Magna della Facoltà Teologica della Sardegna, anche il neo preside don Mario Farci (primo sacerdote, non gesuita e sardo, a guidare l’Ateneo). All’ultimo momento ha dovuto fare forfait l’arcivescovo di Cagliari: il volo di monsignor Baturi è stato infatti soppresso, di fatto bloccandolo a Roma.
Perché questo titolo “Un Papa senza corona”?
«La scelta del paradosso. Proprio perché questo Papa, che ha regnato – come ha scritto il quotidiano “Le Monde” – il “tempo di un sorriso”, non è mai stato incoronato con il triregno, copricapo medioevale formato da tre corone sovrapposte, simbolo del potere papale. Non l’aveva più utilizzato il suo predecessore Paolo VI che, dopo l’incoronazione di rito, aveva deposto la tiara sull’altare di San Pietro e donato il ricavato della sua vendita ai poveri del Biafra. Luciani – e tutti i Papi dopo di lui – non ne parleranno più».
Lei definisce Luciani, alla vigilia del Conclave che lo eleggerà, “figura di fatto sconosciuta e sicuramente non di spicco”…
«Il nome di Luciani appare in modo sporadico sulla stampa. A chiedere informazioni su di lui sono i cardinali non italiani, soprattutto quelli del Terzo mondo e i latinoamericani. Eppure sarà lui a prevalere in un conclave brevissimo, di neanche ventiquattr’ore, divenendo – nel giro di 75 anni – il terzo Patriarca di Venezia a salire sulla Cattedra di Pietro dopo Pio X (nel 1903) e Giovanni XXIII nel 1958. Conclave – anche questa un’altra storica singolarità – nel quale sedevano il giovane cardinale Wojtyla, poi San Giovanni Paolo II e il brillante teologo Ratzinger, il futuro Benedetto XVI, che di Luciani saranno i diretti successori.»
In quei 33 giorni di pontificato papa Luciani è stato capace, per dirla con Ratzinger, di mostrare “un pontificato che ha segnato un grande passo dal quale non si poteva più tornare indietro”.
«Nel suo brevissimo passaggio Giovanni Paolo I è stato chiamato il “papa del sorriso”, il papa catechista che dialogava con i bambini alle udienze in Sala Nervi, appena quattro, nelle quali seppe affascinare il mondo per immediatezza e semplicità. Fu uno straordinario comunicatore, nel segno di quella “humilitas” che scelse come motto papale».
Sull’improvvisa morte di Luciani lei non esita a parlare di “totale disastro comunicativo”, “improvvida decisione di non procedere all’autopsia”, “autoreferenzialità assoluta del Vaticano e sua completa incomprensione dei meccanismi mediatici”.
«Tutto questo per non dire che a fare la scoperta del Papa, ormai morto da parecchie ore, era stata una delle sue suore e non – falsamente, fu poi accertato – uno dei segretari. In un accavallarsi di verità e di smentite che ha avuto, come prevedibile conseguenza, una valanga di libri e di film sulla morte del pontefice, facilmente ritenuta un assassinio necessario per arrestare il processo di riforma della Chiesa avviato da papa Luciani.
Giovanni Paolo I è oggi Beato, quinto papa del XX secolo a salire agli onori degli altari.
Anche questa una novità assoluta nella storia della Chiesa cattolica. Quel 1978 – drammatico per l’Italia, nel pieno degli “anni di piombo” col rapimento e uccisione di Aldo Moro e lo sterminio dei cinque uomini della scorta – verrà definito anche “l’anno dei tre Papi”. Una triade di santi, con Paolo VI e Giovanni Paolo II già canonizzati e Giovanni Paolo I beatificato. Ma v’è di più perché, dal 1978 inizia una successione di pontefici non più italiani (Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio) che non si ripeteva da sei secoli quando – fra il 1305 e il 1378 – vi furono ben sette pontefici francesi. Tutto questo “nel tempo di un sorriso”.
Spentosi troppo presto.
Paolo Matta