Domenica XVIII Tempo Ordinario – anno B – (1 agosto 2021)
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Letture: Es 16,2-4.12-15 ; Ef 4,17.20-24 ; Gv 6,24-35
“In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Detto in modo più brutale: non cercate me, ma cercate il proprio interesse! E questo è vero, per moltissimi e forse per tutti noi. Dio ci interessa quando colma i nostri bisogni e i nostri desideri, quando fa ciò che aspettiamo da lui. Non siamo molto diversi da questa folla che cercava il Signore perché era stata saziata. Se la fame e il desiderio non fossero tornati, non l’avrebbero cercato e non sarebbero venuti per trovarlo. Tante volte, il nostro rapporto con Dio rimane a questo livello di uso e di sfruttamento. Non è lui che cerchiamo, ma la realizzazione dei nostri desideri. E quando non risponde alle nostre aspettative, dichiariamo allora che Dio non ascolta, che si è allontano o ci ha abbandonati, o meglio ancora, che non esiste.
Questo egocentrismo, questo modo di interpretare la realtà e il mondo intorno a noi, intorno a me, è qualcosa di molto banale. Però ha delle ripercussioni non solo sul nostro rapporto con Dio, ma anche con gli altri e col mondo stesso. La crisi ecologica e lo sfruttamento del mondo, con tutte le conseguenze sociali, economiche e politiche ne sono un segno molto chiaro. Quando la ricerca del compiacimento dell’“Io” diventa l’unica legge e l’unica norma per le nostre scelte personali e collettive, si capisce che il mondo diventa infernale e caotico. Si ritorna alla logica del peccato originale in cui Adamo e Eva, invece di guardare il mondo come Dio e di meravigliarsi: “e Dio vide che era bello” ci dice la Genesi, guardavano il mondo con occhi pieni di cupidigia: “era bello e buono da mangiare”. Non solo bello in sé, ma soprattutto buono per me. Non c’è più posto per la gratuità, per l’altro!
Dietro questa terribile constatazione, c’è tutta la storia della salvezza che viene riassunta. Nel popolo che viene liberato dall’Egitto, sale solo un lamento per la carne, le cipolle e le pentole del paese di schiavitù! Nella mente degli Efesini che sono stati liberati dalla schiavitù del peccato con la predicazione dell’apostolo Paolo, torna sempre in mente la nostalgia delle passioni dell’uomo vecchio. Le letture di questa liturgia ci ricordano così che la nostra conversione non è mai definitiva, che si potrebbe sempre tornare indietro, se Dio non fosse più tenace della nostra miseria e più fedele con la sua misericordia.
Se non dobbiamo cadere nell’illusione di essere veri ricercatori di Dio, se non possiamo fidarci di noi stessi, possiamo invece scoprire sempre di più, nella nostra quotidiana, questa fedeltà di Dio che ogni giorno ci viene incontro, ci guida, ci rialza, ci salva. Se il nostro egocentrismo è un dato di fatto, la bontà ineffabile di Dio lo è molto di più. E questo ci spinge a credere sempre di più, anche quando ci accorgiamo di essere nella menzogna o nella falsità. Il Signore lo sa e ci ama come siamo. Non lo fa perché rimaniamo così, ma perché possiamo progredire pian piano, con tanto tempo e tanta fatica. E questa è la vera conversione: quando accettiamo la nostra povertà e quando accogliamo la sua bontà e la sua misericordia, e soprattutto quando ne diventiamo dispensatori per gli altri, i nostri confratelli nella miseria!
Dom Guillaume, cappellano monastero trappista N.S. di Valserena (Pisa)
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