Maria, Madre di Dio – 1 gennaio 2021.
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Letture: Nm 6,22-27; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21.
Le letture della liturgia del primo giorno dell’anno nuovo cominciano con una benedizione: “ti benedica il Signore e ti custodisca”, “faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia”, “rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”! In questa formula di benedizione, abbiamo una chiave di comprensione molto importante del significato della salvezza per noi. Difatti, essere salvato significa vedere il volto di Dio, il volto luminoso di Dio. A questo punto, si capisce meglio perché l’Apostolo Paolo, nella lettera ai Galati, sviluppa l’idea che la salvezza ha come scopo la figliolanza che si esprime con la presenza dello Spirito Santo nei nostri cuori. Vedere Dio suppone di essere come lui, e questo diventa possibile solo se viene dimorare dentro di noi, nel nostro cuore.
Attraverso la benedizione, Dio si congiunge a noi.
La benedizione non è più qualcosa di esteriore, ma viene a trasformare chi la riceve, dall’interno. In un certo senso, con la benedizione, c’è qualcosa di Dio stesso che viene congiunto a noi. Il cambiamento è molto più profondo e più intenso di ciò che si pensava prima. La benedizione non è solo parole, ma diventa veramente vita nuova per chi l’accoglie con fede. Allora si capisce molto meglio perché questa solennità della Madre di Dio comincia proprio con queste parole. Maria è “benedetta fra le donne”, cioè trasformata nel più profondo del suo essere dalla parola di benedizione di Dio. La parola ricevuta diventa in Lei Verbo Incarnato. E Dio benedice, adesso, attraverso Maria, la nostra umanità.
Prima di diventare una benedizione, prima di generare il Benedetto fra i figli dell’uomo, Maria è stata benedetta. E questo percorso suo diventa per noi come uno ricordo della nostra vocazione. La benedizione che riceviamo, cioè la parola di bontà che Dio ci manda nel più profondo del cuore, deve diventare benedizione per il mondo, per quelli che ci circondano. Abbiamo ricevuto tanto, però ci accorgiamo che, in noi, molto spesso, la benedizione di san Benedetto spesso non porta frutti di bontà. Le parole che escono dalle nostre labbra, i gesti o le reazioni nostre non sono per gli altri parole o gesti di benedizione. Tanto spesso, esprimono il contrario. Invece di conquistare il cuore di chi ci circonda, sono parole o atteggiamenti che allontanano, che rendono la fede meno valida agli occhi dei nostri contemporanei.
Trasmettiamo la benedizione attraverso la nostra esistenza.
La nostra vocazione è di diventare benedizione, come Maria, Vergine e Madre, e così di generare figli alla Chiesa. Ci sono certo tantissimi motivi validi per non essere d’accordo con ciò che succede nel nostro mondo. Questo è evidente. Però, se vogliamo vivere veramente la nostra vocazione benedettina e partecipare alla missione di Cristo nostro capo, dobbiamo interrogarci sul nostro modo di trasmettere la benedizione che abbiamo ricevuto da parte di Dio. Cosa facciamo con tutto questo bene che Dio ci concede? Perché non siamo focolari di luce? Come mai non sappiamo più esprimere la luminosa bellezza del nostro Dio attraverso la nostra esistenza? Non possiamo accusare il mondo che non sa. Ma dobbiamo chiederci perché lo “splendore della verità” che ci ha tanto commossi non dice più niente ai nostri contemporanei? Perché non siamo una benedizione?
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena (Pisa)
(www.valserena.it)