Domenica XXXIII del Tempo Ordinario – anno A (15 novembre 2020)
Letture: Pr 31,10-31; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30
Un filosofo francese, Luc Ferry, vede in questa parabola dei talenti il testo più importante che spiega lo sviluppo e il successo della società occidentale. Difatti, per lui, anche se la parabola usa termini economici, il discorso di Gesù va molto aldilà. Il punto centrale non è la natura del dono, neanche il numero di talenti ricevuti, ma il modo di usarli. Per il nostro filosofo, la più grande e assoluta novità di questa parabola, di fronte a tutte le altre visioni del mondo, è il fatto di mettere al centro il merito della persona singola.
Il problema non è più il rango nella società o l’appartenenza a una classe sociale dominante, ma il centro della parabola tocca il fatto di far fruttificare o no il talento ricevuto personalmente.
Si passa così, secondo lui, da un tipo di organizzazione sociale rigida, fondata sulla trasmissione esclusiva in modo ereditario, a una visione democratica fondata sul merito di ogni uomo, riconosciuto dal proprio impegno personale, dal proprio valore.
Questa interpretazione sociologica del vangelo è interessante per noi, perché ci spiega perché la persona, nella sua originalità, ha preso un posto così importante nelle nostre società. Ed è ancora più interessante quando si scopre che colui che commenta così la parabola evangelica, per farne la fonte della società democratica occidentale, è un filosofo agnostico! Però, anche se possiamo accogliere con interesse e simpatia questa interpretazione laica del vangelo, dobbiamo anche interrogarci su un’altra dimensione della parabola, perché lo scopo di Gesù non era quello di fondare un’altra visione della società politica.
Nel linguaggio comune, la parola “talento” ha preso un significato molto più ampio della misura di metallo prezioso. Il talento non si limita ai beni, ma può rivestire significati diversi. Si parla di talento per tantissime realtà, come i talenti artistici, scientifici, manuali, sportivi o di leardership.
I talenti sono molto diversi, anche se la parola è una sola. Ma ciò che colpisce di più è il fatto che un talento corrisponde sempre a un dono ricevuto senza merito nostro. Deve certo essere coltivato e chiede lavoro e volontà, ma, all’inizio, è sempre un dono.
Questa dimensione fondamentale del dono ricevuto gratuitamente ci obbliga a pensare la vita nostra in un altro modo. Tutti, in questa parabola, hanno ricevuto un dono, più o meno importante. Il problema non è più né la natura del dono, né la quantità, ma cosa ne facciamo. Come viviamo col dono ricevuto? Il problema di colui che viene mandato via è che rifiuta il dono e spiega che aveva paura di perderlo. Il dono suppone dunque sempre di essere accolto come dono e di vincere la paura e la pigrizia per poter farlo fruttificare.
Spesso, si vedono delle persone che non accolgono il loro dono. Sono gelose del dono dell’altro e non vedono ciò che hanno ricevuto. Per questo motivo, invece di prendere il rischio di vivere, si seppelliscono da sole nell’amarezza e nella critica. Non fanno niente e criticano tutto.
Non vivono e vogliono impedire agli altri di vivere! Questa negatività, questo pessimismo, questa paura finiscono per distruggere anche la loro vita.
Hanno rinunciato a vivere, sono già nelle tenebre!
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena (Pisa)
(www.valserena.it)