Domenica XXIII del Tempo Ordinario – anno A (6 settembre 2020)
Letture: Ez 33, 1.7-9; Rm 13, 8-10; Mt 18, 15-20
Questo brano del vangelo di Matteo ci ricorda un altro episodio dello stesso vangelo di Matteo, in cui il Signore, dopo la confessione di fede di Pietro a Cesarea: «tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», aveva cambiato il nome di Simone in Pietro e gli aveva dato il potere di legare e di sciogliere. Ritroviamo proprio la stessa espressione nel vangelo che abbiamo appena ascoltato: «tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo».
Ma questa volta, il contesto è molto diverso, perché il Signore si indirizza a tutti i discepoli.
E lo fa a proposito della correzione fraterna.
Così si capisce subito che legare e sciogliere non sono un potere dato ai discepoli per imporre il loro parere. Il contesto di questa espressione ci dice qualcosa di molto più profondo. Riprendiamo insieme questi versetti.
Gesù comincia il suo intervento come se fosse una regola di vita per i discepoli. Si tratta del modo di comportarsi tra quelli che desiderano seguire il Signore. E la prima cosa che ci stupisce è che ci sia la possibilità di dissensi, di discordie tra i discepoli di Gesù. Ma questo non dovrebbe affatto sorprenderci! I vangeli sono pieni di queste contese, di queste rivalità, critiche e gelosie che sono il tratto caratteristico di ogni comunità umana. Il primo insegnamento che Gesù vuole trasmetterci in modo chiaro è che la vocazione comune non toglie le difficoltà di relazione! Sognare il contrario sarebbe un segno di mancanza di maturità umana e spirituale. Gli uomini, anche se cristiani, rimangono umani.
Ma Gesù non si ferma a questa constatazione. Ciò che caratterizza il discepolo di Gesù, non è l’assenza di scontri, ma il modo di risolverli.
La soluzione si trova nella capacità di dire e di ascoltare. Questo potrebbe sembrare troppo semplice, ma dobbiamo essere coscienti che spesso, se siamo pronti a accusare e a giustificare ciò che abbiamo fatto, lo siamo molto meno per dire le cose con umiltà e ascoltare un altro parere. Esigiamo dagli altri ciò che non siamo pronti a fare.
È sempre la stessa storia della pagliuzza e della trave!
Ma Gesù non si ferma là, perché Egli sa molto bene che siamo duri di cervice e lenti a capire. Per questo, dopo tutto un processo che rispetta il tempo della maturazione, con diversi testimoni, il Signore conclude che se la situazione rimane bloccata, allora si deve considerare l’altro «come il pagano e il pubblicano». Questa conclusione è molto strana nella bocca di Gesù. Certo se la leggiamo con gli occhi degli scribi e dei farisei, questo significa di considerali con disprezzo e arroganza. Ma questo non è mai stato l’atteggiamento di Gesù.
Nel vangelo, Gesù ebbe proprio uno sguardo molto diverso per queste due categorie disprezzate nei suoi tempi. Egli le guardava con amore e con bontà, le considerava con grande compassione e con sollecitudine. Il pagano e il pubblicano non sono, per il Signore, delle persone senza valore. Ma sono persone che hanno bisogno della nostra preghiera e del nostro amore.
Chi non ascolta non è cattivo, ma ha bisogno della mia misericordia, della mia pazienza, del mio amore gratuito per lui.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena (Pisa)
(www.valserena.it)