DI ANDREA RICCARDI
(Pubblichiamo integralmente un intervento del prof. Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio, apparso su Corriere.it sulla decisione del Governo di sospendere la celebrazione delle Messe nelle parrocchie e nelle chiese)
Alcune diocesi del Nord avevano già sospeso le messe. Ieri notte è arrivato il decreto del presidente del Consiglio (con direttive decisive per ridurre il contagio), con le disposizioni sulle «cerimonie religiose». È iniziato un negoziato serrato tra Cei e Palazzo Chigi, che non è sembrato disponibile a ragioni d’altro ordine da quelle dei suoi tecnici. Dopo un braccio di ferro, la Cei ha ceduto: funerali e messe sospesi in Italia. Chi conosce i toni cortesi della Cei coglie subito un forte disappunto nel comunicato, pur essendo sempre pronta a collaborare, tanto da dire che il decreto è stato accolto solo per «contribuire alla tutela della salute pubblica» e che si tratta di «un passaggio fortemente restrittivo». La Chiesa non apre una crisi nell’emergenza. Ma c’è un’incomprensione della sua realtà.
Il governo decreta «sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri».
La liturgia della Chiesa è una delle «cerimonie»?
L’apertura dei luoghi di culto nel decreto è saggiamente condizionata all’ampiezza e alla distanza tra i presenti. Giusto evitare gli affollati funerali. Ma non si capisce, perché siano interdetti culto e preghiere, se celebrati in sicurezza. Forse non tutti i decisori penetrano il senso peculiare della messa per i credenti, di cui gli antichi martiri dicevano: «Sine Dominicum non possumus».
Le Chiese in Italia non sono la setta sudcoreana, dove si prega ansimando e tenendosi per mano e dov’è avvenuto il contagio, tenuto segreto. Un aspetto serio tocca i rapporti tra Stato e Chiesa: «Ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».
Può lo Stato disporre sulle «cerimonie» in chiesa?
Si sfiora il giurisdizionalismo, ispirato certo da prudenza ma che non considera una visione olistica della persona e della sua tenuta. È certo un vulnus in un sistema di relazioni, su cui tornare.
Il coronavirus evidenzia una crisi esistente tra la gente, bisognosa di legami e senso. Le diocesi hanno moltiplicato i video con inviti alla preghiera in famiglia… Quale famiglia? A Milano vive da solo il 45,56% della gente; a Roma il 44%. Gli anziani soli a Roma: 250.000.
Le nostre sono città di soli, che non si sentono protetti di fronte a un futuro incerto, tra fake news, teorie complottiste, spiegazioni magiche o condanne divine. Cresce la paura nella solitudine.
Il conforto non sono solo le spiegazioni scientifiche. Mai, nella storia della Penisola, sono state sospese le messe. Un segnale pesante. Nelle crisi, la Chiesa è stata sempre un riferimento. Lo furono le chiese nel 1943-45 di fronte alla violenza tedesca. Oggi c’è sbandamento e incertezza. In un tessuto di fragili relazioni, coltivare la fede e le motivazioni non è secondario anche per resistere e sviluppare solidarietà e autodisciplina, ora decisive. Proprio perché siamo tutti d’accordo che il momento è grave e c’è bisogno di tutte le risorse umane.