Domenica 21esima del Tempo Ordinario – anno C (25 agosto)
Letture: Is 66, 18-21; Eb 12, 5-13; Lc 13, 22-30
« Ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi». Questa conclusione del Vangelo che abbiamo appena ascoltato può sembrarci strana, di primo acchito. Infatti, chi sono questi ultimi e questi primi di cui parla Gesù? Di chi parla esattamente il Signore? Infatti, noi non abbiamo quasi mai l’impressione di fare queste differenze. Ci sentiamo molto lontani da questi farisei che godevano nel classificare le persone in buoni e cattivi, e si mettevano sempre dalla parte dei buoni. Ma è proprio così? Per capire ciò che Gesù vuole dirci, è importante capire a che cosa si riferisce. Chi erano questi ultimi e questi primi?
Gli ultimi, al tempo di Gesù, nel paese di Gesù, erano prima di tutto gli stranieri, coloro che non facevano parte del popolo. Dopo c’erano i poveri, coloro che non sapevano districarsi nella vita e che vivevano alle spalle degli altri. E ancora, c’erano quelli che si consideravano come persone poco raccomandabili: i pubblicani e peccatori, Zaccheo e Matteo, Maria Maddalena e Giuda dei Vangeli. Riguardo ai primi sono tutti coloro che avevano dei beni al sole, voce in capitolo, a cominciare dai capi dei sacerdoti e i chierici, poi i potenti e i notabili, i benpensanti del tempo. Tutti coloro che, fondamentalmente, avevano un posto riconosciuto e rispettato nella società del tempo.
Non è necessario fare lunghi discorsi per riconoscere questa stessa situazione nella società del nostro tempo. Oggi ancora, come tempi di Gesù, le condanne e giudizi di questo genere sono numerosi, e talvolta anche all’interno della chiesa. Questo atteggiamento che consiste nel separare i buoni dagli altri, e a mettersi dalla parte dei buoni, non è molto cambiato. Siamo lontani dall’atteggiamento descritto dall’autore della lettera agli Ebrei, che, lungi dal cercare di condannare coloro che sbagliano, consiglia al contrario di raddrizzare le strade, perché «colui che zoppica non abbia a storpiarsi», e avere così una possibilità di guarigione.
Gesù era l’amico dei pubblicani e dei peccatori. E lo rimarrà, fino alla fine dei tempi. Come lo proclamerà con forza l’evangelista Giovanni, Gesù non è venuto per giudicare e per condannare, ma per amare e salvare tutti gli uomini. E San Paolo aggiungerà che il Signore è venuto per abbattere tutti i muri di separazione, che gli uomini sprecano il tempo a erigere, per fare di noi un popolo solo. È venuto per distruggere l’odio, ogni forma di odio, una volta per sempre!
La nostra vocazione di cristiani non è dunque giudicare e condannare, ma annunciare la misericordia infinita dell’amore di Dio per tutti gli uomini. Gesù lo dice bene, nessuno è escluso, se non colui che si esclude da se stesso! Ma guardiamoci anche noi dal giudicare coloro che accusiamo di giudizio. Perché questo può diventare una trappola. Seguiamo gli insegnamenti di Gesù che denunciava l’ingiustizia, ma accogliendo coloro che la perpetravano. La Chiesa non è una chiesa di puri, ma una chiesa di peccatori, e di peccatori perdonati. Non siamo migliori degli altri ma abbiamo ricevuto infinitamente di più. Abbiamo ricevuto un perdono che cambia la nostra vita, un amore che cambia il nostro sguardo e che dovrebbe anche cambiare il mondo.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)