Domenica 19esima del Tempo Ordinario – anno C (11 agosto)
Letture: Sap 18, 6-9; Eb 11, 1-2, 8-19; Lc 12, 32-48
Ci sono due aspetti complementari, anche se sembrano un po’ in contraddizione, che sono sviluppati dal Signore Gesù nel vangelo di oggi. Il primo aspetto è quello della fiducia in Dio perché il Padre ci vuole bene, ci aspetta con gioia. Non bisogna temere l’incontro con il Signore, ma già adesso si può lasciare tutto per vivere nella libertà dei poveri. Ma poi, nella seconda parte del brano che abbiamo ascoltato, Gesù parla piuttosto di attenzione, di gestione a lunga scadenza, di amministrazione sana e giusta dei beni per il servizio della comunità. Non c’è più questo aspetto di leggerezza che c’era nella prima parte. Il Signore si fa più severo e più concreto. Non si devono disperdere i beni, ma gestirli con serietà!
Spesso, nei vangeli, troviamo questi due modi di parlare di Gesù. Da una parte, dice di distribuire tutto, di lasciar perdere, di non aver timore per l’indomani. Ma, dall’altra parte, ci ricorda che dobbiamo comportarci come servi fedeli, perché dovremo rendere conto della nostra gestione. A noi questi due atteggiamenti sembrano inconciliabili. Come dare tutto ai poveri e poi portare la responsabilità di una famiglia, di una comunità? Come lasciar perdere e rendere conto della gestione dei talenti che abbiamo ricevuto? Come vivere la povertà dei primi versetti e assumere le responsabilità degli ultimi? In un certo senso, in questo brano del vangelo, il Signore ci mette davanti a una aporia: cioè ci chiede due cose opposte senza darci il metodo per risolvere l’enigma!
Difatti, per noi è sempre più facile l’uno o l’altro: cioè scegliere una parola del Signore, lasciando da parte le altre. Così ci sentiamo più sicuri. Non c’è più bisogno di interrogarci. Ed è forse per questo che la Chiesa, oggi ancora, ci mette davanti queste parole apparentemente contraddittorie. Perché la contraddizione obbliga a pensare, a uscire dalle nostre abitudini di pensare e di agire. La contraddizione, nel vangelo, è sempre un invito a andare oltre, a esercitare la nostra intelligenza, il nostro discernimento.
Come posso vivere la povertà evangelica, la libertà interiore senza abbandonare le mie responsabilità in questo mondo? Come posso essere generoso, ma usando dei beni in un modo giusto e sano? La risposta non si trova né all’inizio, né alla fine di questo brano evangelico, ma in tutti e due. Difatti, se lo leggiamo con maggiore attenzione, ci accorgiamo che per tutti e due, per colui che distribuisce i suoi beni ai poveri, come per “l’amministratore fidato e prudente”, c’è lo stesso atteggiamento fondamentale di fronte ai beni! Questi beni, non sono loro!
Questa consapevolezza di aver ricevuto tutto, di non essere proprietario di niente, ma di essere incaricato da parte di Dio per il bene degli altri, questo è un tratto comune di tutti e due. L’uno lo vive in un modo, condividendo ciò che ha, l’altro in un altro modo, cercando di rendere agli altri il servizio di cui è stato incaricato. Nei due casi, ciò che stupisce è proprio la scoperta dell’altro, l’importanza dell’altro nella mia vita. Ciò che Gesù ci insegna è molto semplice: sono fatto per gli altri, per diventare fratello del mio fratello, per condividere con lui ciò che ho ricevuto da Dio.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)