Domenica 15esima del Tempo Ordinario – anno C (14 luglio)
Letture: Dt 30,10-14 ; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
«Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Facendo questa domanda, il dottore della Legge voleva condurre Gesù su un terreno che gli era ben familiare, quello delle prescrizioni della Legge. E Gesù sembra lasciarsi prendere al gioco quando gli chiede: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». E ancora quando si complimenta con lui per la risposta: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Il dialogo poteva concludersi lì. Il dottore della Legge poteva ripartire soddisfatto per aver fatto sfoggio della sua scienza ed essere stato confermato in quello che sapeva.
E invece, lo scriba non poteva accontentarsi di quell’esame superato. Come ci riferisce san Luca, è Gesù, di fatto, che dovrebbe subire la prova e non l’altro. Per questo il dottore rilancia il dibattito, pensando così di prendere in mano le redini della discussione: «Ma chi è mio prossimo?». Gesù avrebbe potuto, di nuovo, rimandarlo alla Legge, lasciandolo su quel terreno così familiare e di cui lo scriba conosceva tutti i recessi. Ma ecco che, sorprendendo tutti, lo conduce su una strada del deserto, la strada che va «da Gerusalemme a Gerico», una strada percorsa da ogni sorta di viaggiatore, con le sue incertezze e i suoi pericoli, una strada così simile ai percorsi della vita.
Su quella strada, Gesù mette in scena un certo numero di personaggi. C’è prima di tutto quell’uomo «che scendeva da Gerusalemme a Gerico» e cade nelle mani di una banda di briganti. Ci sono poi il sacerdote e il levita, che continuano per la loro strada senza voltarsi. E infine quel Samaritano senza nome che si ferma e che, mosso a compassione, cura il ferito. La posta in gioco del dramma che si svolge sotto i nostri occhi si è poco a poco spostata. Il problema, ormai, non è più sapere se chi è caduto è un prossimo, quanto piuttosto di sapere chi si accosterà a lui.
Al cuore di questa parabola si opera così uno strano capovolgimento. Non si tratta più di elencare i criteri di selezione che ci possono permettere di sapere chi sarebbe degno di far parte delle persone a noi familiari, del cerchio di chi avrebbe diritto di ricevere il nostro amore. Gesù invita il dottore della Legge a uscire da questa visione angusta della vita che consiste nel porre sempre delle condizioni per cominciare ad amare. Lo invita a fare in modo di assomigliare a quel Samaritano senza nome.
Di questo misterioso personaggio, il Vangelo non ci dice granché. Non sappiamo chi fosse né cosa facesse, lui, uno straniero, su quella strada da Gerusalemme a Gerico. Ma ci dice che aveva viscere di carne, che era capace di commuoversi alla vista del bisogno di un altro, che aveva vino e olio «per curare le ferite», braccia «per caricare sulla sua cavalcatura» quello sconosciuto, e mani aperte per pagare la sua guarigione.
In questo buon Samaritano, certuni hanno creduto di riconoscere i tratti di colui che è venuto sulle nostre strade, «mentre eravamo ancora peccatori», «piegandosi sotto il peso delle nostre colpe», per sollevarci e prendere su di sé il peso della nostra miseria. Hanno riconosciuto il volto di «colui che ha voluto tutto riconciliare… facendo la pace mediante il sangue della sua croce». In questo strano viaggiatore, hanno creduto discernere il Figlio di Dio venuto nella nostra carne, che «non ha risparmiato la sua vita» per noi. In questo umile straniero venuto non si sa di dove, hanno riconosciuto l’amore di Dio stesso.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)