A vent’anni dalla morte, ancora si moltiplicano e rincorrono le definizioni di quell’autentico mito qual è stato Fabrizio De André: poeta, libero pensatore, anarchico, visionario.
Massimo Bubola parla di lui come di una «torta a strati» dalle continue sorprese e novità.
Nel Canzoniere del cantautore sardo-genovese c’è, fin dall’inizio della sua produzione discografica, anche un’innegabile, fortissima impronta religiosa e spirituale: il “cristiano” De André.
A cominciare dal Volume 1 dove troviamo brani come Preghiera in gennaio (composta per l’amico suicida Luigi Tenco), Spiritual , Si chiamava Gesù che tradiscono un’onesta per quanto dissacrante e provocatoria “ricerca” della verità, del senso più profondo del vivere e del morire.
C’è allora, innervato in tutte le sue composizioni, il “vangelo secondo Fabrizio”, la sua immagine di Dio, del suo Figlio Gesù (verso il quale trasudano limpida ammirazione e laica devozione), della Chiesa istituzione – verso la quale mai nasconderà allergica intolleranza, a motivo di atteggiamenti e scelte farisaiche e contrarie al Vangelo – come della vicinanza ai poveri, agli esclusi, ai moderni lebbrosi, si chiamino essi drogati o prostitute.
Tutti morimmo a stento, con la dolcissima “Leggenda di Natale” ma soprattutto La buona novella segnano il punto più alto, nel primo De André, di questo percorso meditativo. Una costante che, sapientemente disseminata, poi si scopre anche in tutta la successiva produzione, talvolta in modo esplicito molto più spesso in veloci pennellate, persino quando le tematiche sono quelle politiche, sociali, autobiografiche, come in quell’autentico capolavoro che resta L’indiano composto all’indomani del suo sequestro con quel brano Fiume Sand Creek definito dallo stesso autore “preghiera desolata, canzone mistica”.
Persino la stessa scelta di vivere in Sardegna, terra di fede antica e rocciosa, fecondata dal sangue dei suoi martiri, può essere letta come tassello obbligato, tessera che non può mancare nella costruzione del “cristiano” De André.
Nella produzione letteraria del cantautore genovese, ma sardo per scelta, c’è il “filo rosso” della costante ricerca di Dio e della verità nell’Uomo-Gesù.