2a domenica: AVVENTO ANNO C (9 dicembre 2018) – Letture: Bar 5,1-9; Fil 1,4-11; Lc 3,1-6
Passare dal lutto e dall’afflizione alla pace e alla gloria, questa promessa di Dio nel libro del profeta Baruc è diventata realtà con la proclamazione della venuta del Salvatore da parte di Giovanni Battista.
Ma questa venuta del principe della pace e della gloria di Dio suppone una preparazione: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri».
Questo compito suppone dunque di essere consapevoli che le nostre vie non sono sempre così chiare e diritte come pensiamo. Difatti, riconoscere che ci sono buchi enormi e montagne di superbia e di vanità nel nostro cuore non è facile.
Per fare questo, dobbiamo accettare che crolli l’immagine liscia e gradevole di noi stessi che abbiamo curata per tanto tempo. Per poter essere curati e guariti dal medico, dobbiamo accettare la nostra malattia interiore.
Questa consapevolezza del nostro bisogno di essere salvati non è così evidente.
Soprattutto per noi che pensiamo di essere persone mature, di avere una certa esperienza della vita. Certo, siamo pronti a riconoscere i nostri difetti, e ogni tanto alcuni vizi di cui non riusciamo a liberarci. Ma vedere chiaramente queste vie tortuose e queste valli oscuri dentro di noi rimane qualcosa di difficile. Per questo motivo, l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Filippesi, preferisce parlare dell’opera di Cristo nel cuore dei fratelli e dell’amore che nutre per loro. Invece di criticare e di ammonire come Giovanni Battista, l’apostolo sceglie di coltivare questa squisita carità che permette ai Filippesi di discernere per scegliere il meglio.
Questi due metodi, quello di Giovanni e quello di Paolo, Dio li utilizza con noi ancora oggi, nel momento più opportuno.
Ogni tanto, abbiamo bisogno di comprensione e di bontà per poter cominciare un vero lavoro interiore di purificazione e di guarigione. E ogni tanto, abbiamo anche bisogno della parola incisiva di Giovanni, della sua aspra e esigente carità, per lasciare le vie sbagliate dove ci siamo persi. Ma non importa il metodo qualsiasi sia. Ciò che conta è questa vera carità di Dio per ognuno di noi che non esita a prendere tutti i mezzi più efficienti per aiutarci a uscire dalle nostre oscurità e per raddrizzare le nostre vie.
Questa pedagogia di Dio che usa con noi tanti strumenti diversi per farci crescere e per curare le nostre ferite, abbiamo bisogno di molto tempo per capirla e ringraziare. Quando viviamo questi momenti di scoperta e di cura, siamo presi dal panico, dall’angoscia o dallo scoraggiamento. Ci sembra troppo difficile, troppo esigente. Solo dopo un tempo, e spesso dopo molto tempo, possiamo cominciare a intuire tutto il bene che Dio ha fatto per noi. Possiamo allora capire che il suo amore è così grande che Egli può accettare di essere temuto e anche odiato.
Perché il nostro bene vale molto più, per Dio, che il nostro rancore. Capire che l’amore può essere ogni tanto aspro e ogni tanto delicato, non è tanto facile per noi. Però, come un buon medico, Dio vuole la nostra guarigione, desidera il nostro bene, vuole la nostra felicità e la nostra salvezza. Giovanni Battista e Paolo sono come le due espressioni di questo unico amore di Dio che, in Cristo Gesù, da tutto e anche se stesso perché ognuno di noi possa essere salvato.
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)