L’arte di Gesù è quella di cambiare lo sguardo dell’uomo.
32ma domenica Tempo Ordinario – Anno B (11 novembre 2018) – Letture: 1Re 17,10-16; Eb. 9,24-28; Mc 12,38-44
Se Gesù non avesse espresso la sua ammirazione, forse nessuno si sarebbe accorto di quella “povera vedova” che, così discretamente, aveva fatto scivolare i suoi due spiccioli nella cassetta per le elemosine del tempio. Era piuttosto sui grandi personaggi, tutte quelle persone importanti che sfilavano davanti a loro, che i discepoli avevano gli occhi fissi. Ed è sicuramente perché non si aspettavano questa osservazione di Gesù che essa è rimasta impressa nella loro memoria e ha attraversato i secoli per giungere fino a noi.
Di queste “povere vedove”, di queste persone umili e discrete, talmente nell’ombra da sembrare senza nome né volto, il paesaggio delle nostre città rigurgita ancora oggi. E il significato primo di questo brano del Vangelo di Marco, è soprattutto di aiutarci a riconoscerle, a guardarle, a farle uscire dall’anonimato. Esse sono lì, attorno a noi; passano inosservate, ma sono talmente preziose agli occhi di Dio.
L’arte di Gesù è di cambiare il nostro sguardo, o piuttosto di insegnarci a scrutare coloro che noi non vediamo più e che sono così vicini a noi. Perché il nostro sguardo è selettivo: si nutre delle nostre passioni, delle nostre ambizioni, dei nostri desideri nascosti o repressi. Noi vediamo gli altri non più come sono, ma in funzione dei nostri interessi personali. Non sappiamo più vedere.
Nei Vangeli, numerosi sono gli episodi nei quali Gesù apre lo sguardo dei discepoli a realtà che essi non vedono più. Rimane estasiato di fronte allo splendore della natura che nutre gli uccelli del cielo e adorna con i suoi colori i fiori dei campi. Il seme caduto ai bordi della strada, in mezzo alle spine o alle pietre, diventa una parabola del Regno. La donna adultera, circondata dagli sguardi accusatori di coloro che l’hanno sorpresa, ritrova la sua dignità perduta quando Gesù mette i suoi accusatori di fronte alle loro magagne.
Una delle grandi lezioni di tutti questi racconti evangelici, è che noi non vediamo, non sappiamo più vedere; che il nostro sguardo è deformato, contorto, prigioniero dei nostri sogni e delle nostre paure. E, siccome non sappiamo più vedere, non sappiamo nemmeno più discernere l’essenziale dall’accessorio, il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto, la vita dalla morte. Come i discepoli, a causa del nostro accecamento siamo affascinati da tutto ciò che brilla, da tutto ciò che colpisce l’occhio, da tutto ciò che è alla moda oggi, mentre domani sprofonderà nell’oblio.
Attirando l’attenzione dei discepoli su quella “povera vedova”, Gesù vuole insegnarci a guardare la realtà di questo mondo in modo diverso. Vuole insegnarci a scoprire gli splendori di bontà, dolcezza, pazienza e amore che sono lì, sotto i nostri occhi e che noi non vediamo più. Vuole far rinascere in noi quello sguardo da bambino che si meraviglia di tutto, che non è mai disincantato, di fronte a nessuna cosa.
Quante persone attorno a noi, talvolta molto vicine a noi, ci parlano silenziosamente di Dio! La loro semplice fedeltà, la loro generosità senza presunzioni e la loro benevolenza senza pretese rendono più bello il nostro mondo. Ma noi non sappiamo più vederle e preferiamo lasciarci coinvolgere dalla tristezza ambientale. È talmente più facile!
Gesù, invece, ci insegna che la realtà è altrove. Abbiamo bisogno di una guarigione del nostro sguardo, di una conversione del nostro sguardo, per riconoscere che Dio è all’opera, oggi ancora, oggi più che mai, nel nostro mondo. Sì, anche per noi, attorno a noi e in noi, oggi ancora il Signore fa meraviglie! Santo è il suo nome!
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)