30ma domenica Tempo Ordinario – Anno B (28 ottobre 2018) – Letture: Ger 31, 7-9; Eb 5, 1-6; Mc 10, 46-52
“Che vuoi che io faccia per te?”
Per Bartimèo, la risposta sembra così evidente che non cerchiamo di capire perché il Signore abbia fatto questa domanda. Difatti, Bartimèo risponde subito, senza neanche un momento di esitazione: “Che io veda di nuovo!” La risposta, come la domanda, ci sembrano così logiche, così evidenti, che passiamo presto su questo piccolo dialogo, per considerare soprattutto il miracolo della guarigione di Bartimèo. Però, se il Signore avesse fatto a me questa domanda, cosa avrei risposto? Ma forse si deve tornare anche un po’ indietro. Avrei anch’io gridato la mia supplica, come Bartimèo, quando passò il Signore Gesù?
Certo, si può interpretare il racconto della guarigione di Bartimèo come la storia di un miracolo, uno dei tanti che Gesù ha compiuti nel suo ministero. Si potrebbe forse interpretarlo come un segno bellissimo della misericordia di Dio per ognuno di noi, anche i più poveri e i più deboli. E si potrebbe anche riconoscere l’importanza della perseveranza nella domanda, anche quando gli altri se ne stancano, perché Dio non si stanca mai di ascoltare le nostre preghiere. Certo, tutto questo è vero e potrebbe bastare per una bella omelia.
Ma rimane questo dialogo tra Gesù e Bartimèo.
Perché Gesù chiede a un cieco cosa desidera? Gesù non chiede mai agli ammalati ciò che desiderano, ma li cura. Allora perché questa domanda di Gesù?
Se fosse stato chiesto a me, cosa avrei risposto? Bartimèo era consapevole di essere cieco, di essere ammalato, di aver bisogno di essere salvato. Ma io? Mi sento veramente bisognoso della salvezza? Certo, abbiamo tutti dei bisogni, dei desideri, spesso i nostri problemi di salute, di famiglia o di comunità, o anche i problemi di lavoro invadono la nostra mente, nel tempo della preghiera. E ci sono tanti desideri segreti e nascosti che non abbiamo mai espresso ma che affiorano nel nostro cuore. Ma se ci chiedesse oggi il Signore cosa vogliamo, non so chi tra noi potrebbe rispondere. Siamo un po’ come l’Apostolo Paolo che non sapeva cosa chiedere!
In questo contesto, la risposta di Bartimèo può diventare per noi un punto di riferimento. Non solo un punto di arrivo, ma soprattutto un punto di partenza. Perché Bartimèo aveva un vantaggio straordinario su ognuno di noi. Egli sapeva che non vedeva. Era consapevole della sua cecità, del suo accecamento. Vedeva che non vedeva. Era consapevole, fino al dolore, di ciò che gli mancava. Anche noi, possiamo attraversare la vita, presi dai nostri affari, ma senza vedere ciò che ci circonda. Ma soprattutto possiamo vivere senza capire il senso della nostra vita, correre senza sapere dove andiamo.
O più semplicemente, possiamo rifiutare di vedere.
“Cosa vuoi che io faccia per te?” Questa domanda di Gesù vale dunque anche oggi, per ognuno di noi. Il Signore ci invita così a capire meglio qual è il desiderio più profondo del nostro cuore, questo desiderio che dà senso alla nostra esistenza. Nelle Scritture, dall’antico al nuovo Testamento, si esprime questo desiderio di vedere, di vedere Dio. Tanti, da Mosè, fino ai discepoli di Gesù hanno chiesto di vedere! E la risposta di Gesù a Filippo: “” rimane come la traccia di questo desiderio che solo l’Incarnazione del Verbo viene a colmare. Ma noi, cosa vogliamo veramente? “Cosa vuoi che io faccia per te”, ci chiede Gesù!
Dom Guillaume trappista, cappellano Monastero Cistercense Valserena
(www.valserena.it)