Da Lampedusa a Bologna. Papa Francesco si conferma instancabile e imperturbabile missionario dell’accoglienza, nonostante gli attacchi che gli arrivano, aperti quanto scomposti e maldestri, da ambienti politici dichiaratamente ostili a qualunque progetto di integrazione ma anche da un assordante silenzio di ambienti ecclesiali, da vescovi e preti, infastiditi e perennemente mormoranti verso questa scomoda, imbarazzante, destabilizzante apertura di questo Papa argentino.
Domenica primo ottobre, appena entrato nell’Hub migranti di Bologna, papa Francesco ha ricevuto come dono simbolico un braccialetto analogo a quello che indica l’inizio del percorso di accoglienza dei richiedenti asilo ospitati nella struttura. A consegnarglielo è stato un giovane senegalese, arrivato come migrante e ora mediatore culturale.
Al polso di Papa Francesco quella gialla striscia di plastica che tanto ricorda quelle applicate ai neonati per distinguerli uno dall’altro, ha la capacità di assurgere a simbolo di una potenza devastante. Icona di una Chiesa nascente che – proprio come i neonati – vuole liberarsi dai peccati originali di superbia, avarizia, calcolo, lussuria, potere per indossare, quasi tatuarsi nella pelle gli abiti della povertà, della mitezza, della misericordia accogliente. La stessa dei vangeli di queste domeniche, e cioè gratuita, libera e liberante, lontana – quanto il cielo sovrasta la terra – dai gretti calcoli dell’uomo, da una visione farisaica fra giusti (noi, sempre noi, solo noi) e peccatori (gli altri, sempre gli altri, solo gli altri).
Papa Francesco ha voluto salutare e sottoporsi con piacere ai selfie fermandosi con tutte le persone assiepate dietro le transenne. Uno stile che non trova più grandi riscontri nelle cronache giornalistiche di grandi e piccoli mass media («ormai non fa più notizia, neanche nei settimanali diocesani», confessa amaro un anziano sacerdote) ma che non sembra scalfire il vigore e la tenacia con cui il Pontefice porta avanti questa solitaria battaglia a difesa di milioni di persone indifese e senza diritti.
Quel braccialetto scotta nei nostri polsi, dove alloggiano Rolex e gemelli d’oro, accanto ad anelli e similari simboli del potere e della ricchezza. Spesso accumulati proprio sulla pelle di chi cerca salvezza e dignità dall’inferno che il potere occidentale, bianco e cristiano, ha creato nei loro paesi.
Paolo Matta