È il 144° arcivescovo di Milano, una delle diocesi più grandi e importanti del mondo. Mario Delpini, 66 anni alla fine di questo mese, attuale Vicario generale, succede al cardinale Angelo Scola nella cattedra di Sant’Ambrogio.
Prosegue, dopo Palermo e Bologna, l’opera di riforma delle diocesi italiane auspicata da Papa Francesco.
Questi alcuni passaggi del suo primo intervento da arcivescovo eletto:
«Sento soprattutto la mia inadeguatezza. Si vede già dal nome: dopo nomi solenni come Angelo, Dionigi, Giovanni Battista, Carlo Maria, Alfredo Ildefonso… Ora voi direte: arriva Mario, che nome è? Già si capisce… È quello che mi hanno dato mia mamma e mio papà». «Sono stato tutta la mia vita qui, non potrò essere una sorpresa. Chi mi ha incontrato penso che dica: “Sì, è un brav’uomo… però arcivescovo di Milano, non so se sarà all’altezza!”. Ho partecipato e preso tante decisioni che hanno segnato la vita delle persone e delle istituzioni. E quando si prendono decisioni, non avendo il dono dell’infallibilità, alcune saranno state sbagliate e sgradite. Io vorrei chiedere di non restare impigliati nel risentimento, chiedo scusa di decisioni non abbastanza attente alle persone. Chiedo di ripartire con benevolenza, per mostrare una Chiesa unita, lieta, disponibile al confronto e anche accettando che poi qualcuno debba decidere».
«Per la Chiesa di Milano ci vorrebbe un arcivescovo santo, mentre io capisco che sono mediocre, un brav’uomo ma mediocre. Se poi penso alle sfide che la città, la metropoli, la regione devono affrontare, a quanta innovazione, cultura, intelligenza ci sono, ci vorrebbe un vescovo che sia un genio. Se considero la bibliografia dei miei predecessori – Scola, Tettamanzi, Martini – rimango veramente un po’ schiacciato nel raccogliere la loro eredità. Perché in questi anni io ho scritto qualche sciocchezza, storielle per bambini… Avrò bisogno del consiglio, del confronto con i teologi e con gli accademici di Milano per interpretare il tempo che viviamo e il futuro che ci aspetta».
«Avrò bisogno di condivisione, corresponsabilità, sinodalità che forse supplisce alla povertà e alla modestia delle mie qualità con un cammino di popolo».
«Conosco i laici, apprezzo quanta intelligenza, intraprendenza e capacità creativa c’è nel laicato di Milano. Chiedo aiuto a fare un cammino insieme visto che da solo non so fare niente e non sono all’altezza di quella leadership che sarebbe auspicabile».
«Chiederei per questa diocesi e per la società civile il dono della gioia. Perché noi milanesi siamo bravi, efficienti, ma c’è talvolta nervosismo, impazienza, lamentosità. Chiedo allo Spirito il dono della gioia. Quanto al palazzo, per adesso ci abita il cardinale, non ho alcuna intenzione di fare traslochi. Poi ci penserò, perché l’elogio che ha tessuto Scola comprendeva anche l’espressione che io vivo in estrema povertà. Però non è che abito sotto un ponte, dunque non ho l’urgenza di collocarmi nel palazzo».