Don Pascual Chavez, i nostri ragazzi non hanno più fiducia nel futuro
“Oggi i ragazzi non vogliono maestri. Vogliono persone adulte mature che non abbiano già le risposte preconfezionate, ma gli stiano accanto perché con loro possono interrogarsi sulla vita e cercare e trovare insieme quelle risposte. Sono gli adulti che, pur in questa flessibilità, devono saper trasmettere ai giovani i punti di riferimento da non perdere di vista se non vogliono veramente sbagliare strada”. Sta in questo delicato equilibrio – sempre più difficile nella società odierna – la chiave del successo dell’educazione salesiana. Ne abbiamo parlato con don Pascual Chavez Rettor Maggiore Emerito della Congregazione salesiana che dal 2002 al 2014 è stato il nono successore di don Bosco. Don Pasqual Chavez è stato nei giorni scorsi a Cagliari per un incontro sulla spiritualità salesiana nella parrocchia salesiana di San Paolo.Cosa vuol dire essere successore di don Bosco?
Da una parte è una dignità molto grande. Quella di Don Bosco è una delle figure più complete che l’umanità abbia mai conosciuto. Questo non è stato detto solo da salesiani, ma da tantissime altre persone anche non cattoliche che, avvicinandosi a Don Bosco, hanno trovato una figura dalla ricchezza umana paragonabile a quella di Francesco d’Assisi e di altri grandi santi come Caterina da Siena e Vincenzo De’ Paoli. Dall’altra parte è una grandissima responsabilità perché, pur mantenendo fedelmente il suo carisma, bisogna nel contempo avere una fedeltà creativa e dinamica e riuscire a capire i bisogni, le attese e le situazioni di oggi. Il contesto in cui viviamo oggi evidentemente non è quello in cui ha vissuto Don bosco per cui c’è bisogno di attualizzare il suo sistema preventivo cogliendo quali sono oggi i desideri e le vere attese dei giovani.Da anni si parla di emergenza educativa.
Come ha rilevato Benedetto XVI coniando questa espressione, oggi i ragazzi sono sempre meno capaci di porsi le domande fondamentali della persona umana, chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, che cos’è la vita, che cosa è la morte, quelle domande che aiutano a scoprire realmente il mistero della persona umana. In questo contesto di grande positivismo, con il predominio della scienza che non dà molto spazio alla ricerca del senso della vita, dove la stessa fede è annacquata a causa di un processo inarrestabile di scristianizzazione di tutto l’Occidente e in particolare dell’Europa, sembra che i ragazzi siano sempre meno interessati a questi temi. Eppure da salesiano mi chiedo: che cosa cercano i ragazzi, anche se non lo chiamano senso della vita, quando ossessivamente cercano di essere felici e di raggiungere il benessere? Possono sbagliare bersaglio però la loro ricerca vuol dire che, come diceva Sant’Agostino, siamo stati creati per Dio e il nostro cuore non trova pace finché non lo trova.L’emergenza educativa riguarda anche i genitori…
L’emergenza educativa indica la situazione dei ragazzi, ma nel contempo anche quella dei genitori. Ormai gli adulti non si sentono capaci di accompagnare i ragazzi ed aiutarli a vivere con gioia e responsabilità il presente guardando con fiducia al futuro. La persona umana è naturalmente portata al futuro e se questo è valido per tutti, vale in particolar modo per i ragazzi. Il problema è che loro non riescono più a vedere il futuro. Innanzitutto dal punto di vista del lavoro. Sappiamo qual è la situazione in gran parte dell’Europa e dell’Italia dove più del 40 per cento dei ragazzi non ha lavoro e deve cercarlo altrove. A questa instabilità si aggiunge l’instabilità politica e sociale mondiale ma anche il cambiamento del clima che sembra significare che c’è un deterioramento irrimediabile. Questa situazione porta i ragazzi a non vedere un futuro e ad attaccarsi ossessivamente al presente: vogliono godere la vita qui ed ora perché non sanno se ci sarà un domani.I ragazzi sono sempre più immersi nei loro telefonini sembrano sordi ai richiami degli educatori: come interessarli?
La prima cosa è cercare di stargli sempre accanto. Il successo del sistema preventivo e della pedagogia salesiana è lo stare tra i ragazzi. Più noi ci allontaniamo da loro meno capiamo la loro cultura, meno ci sentiamo affini alla loro sensibilità e ai loro gusti. Allora difficilmente riusciremo veramente a diventare compagni di strada, compagni di cammino. La nostra assenza tra i ragazzi produce prima di tutto una estraneità culturale: se non c’è sintonia a livello culturale sarà molto difficile che loro si attendano da noi qualcosa che possa veramente essere significativa. Molto diverso è quando stiamo insieme a loro diventando veramente compagni di strada ed entrando nel loro mondo. Loro non vogliono maestri, vogliono persone adulte mature che non abbiano già risposte predefinite, ma gli stiano accanto e si interroghino con loro sulla vita per trovare insieme le risposte. E’ l’adulto che in questa flessibilità deve saper discernere e trasmettere alcuni punti di riferimento fondamentali da non perdere se non si vuole veramente sbagliare strada.Don Bosco ha fondato il primo oratorio. Non crede che gli oratori abbiano bisogno di essere riammodernati?
Gli oratori soffrono una sfida molto grande. Oggi i giovani hanno un ventaglio enorme di offerte di divertimento e se l’oratorio continua ad essere interpretato e gestito come nel passato, semplicemente come un luogo di ritrovo con un po’ di sport e di accompagnamento senza riuscire veramente entrare nel mondo dei ragazzi, sarà molto difficile. Le chiese si stanno svuotando perché i giovani non si ritrovano in sintonia con questo tipo di Cristianesimo, non riescono a capire come possa essere significativo per la loro vita. Lo stesso capita negli oratori dove i ragazzi riescono a rimanere fino all’adolescenza, dopo di che lasciano perché non ci sono le risposte che loro si attendono. L’unica possibilità di trattenerli è stare con loro, anche in forma di ricerca e discernimento. Oggi non ci sono più risposte prefabbricate anche perché le cose stanno cambiando in modo talmente veloce che gli stessi animatori, che sono essi stessi dei ragazzi, si trovano di fronte a problemi del tutto nuovi.L’impegno dei salesiani si dispiega anche e soprattutto nell’istruzione: quali sono secondo don Pascual Chavez i problemi la scuola in questo periodo storico?
La scuola avuto un cambiamento sociale molto forte. Prima c’era una visione monolitica della società dove i valori fondamentali che costituiscono la persona umana erano comunicati dalla famiglia e la scuola, la parrocchia e la Chiesa non facevano altro che sviluppare quei valori rendendoli più saldi. La società in qualche forma tutelava questi grandi valori. Oggi tutto questo non esiste più, la catena di trasmissione dei valori è completamente rotta, a cominciare dalle famiglie. Oggi i ragazzi devono trovarsi con situazioni completamente inedite che toccano nel profondo la loro vita. Ma una cosa è familiarizzare con una nuova situazione sociale, altro è saper veramente leggere quanto sta accadendo nella mente e nel cuore di quei ragazzi. Quel che è certo è che quando arrivano a scuola i ragazzi non soltanto non hanno quei valori fondamentali, ma a volte hanno delle esperienze negative molto forti. Oggi nella scuola c’è una doppia grande preoccupazione: assicurare la disciplina e portare avanti il programma di studi. Il bullismo continua a crescere e questa violenza è veramente incomprensibile perché fare male ai propri compagni sapendo loro quanto si portano già dentro di sofferenza diventa molto più difficile da capirsi. D’altro canto la necessità di dover adempiere al curriculum di studi fa sì che venga trascurato il lato più importante: la formazione della persona.Cosa fare allora?
La scuola deve recuperare la ragione per la quale è nata che non è semplicemente sviluppare attività abilità o trasferire conoscenze, ma formare la persona umana comunicando valori che permettano ai ragazzi di trovare il senso della vita e viverla in pienezza. Naturalmente in una società sempre più tecnologica che ha bisogno di avere ragazzi e ragazze professionalmente competenti, la scuola deve anche comunicare saperi e conoscenze e sviluppare abilità. Ma solo se questi due aspetti saranno portati avanti si potranno formare dei cittadini proattivi, non centrati solamente nella ricerca del proprio successo, ma nello sviluppo del bene comune. Nel passato interessava curare molto la persona che riuscisse ad inserirsi bene nella società e ad essere una persona di successo. Oggi si parla sempre di più di una cittadinanza attiva che porti veramente al bene comune ed all’impegno sociale e politico.Alessandro Zorco
Don Pascual Chavez: i nostri ragazzi non hanno più fiducia nel futuro