Una foto che ha fatto rapidamente il giro del mondo e che, in qualche modo, fissa in una immagine quello che è stato il viaggio triste di Papa Francesco a Lesbo. Tre nonnine che danno il biberon a un bimbo siriano sbarcato da un barcone della disperazione.
«Andiamo a incontrare e vedere con i nostri occhi la catastrofe umanitaria più grande dalla II Guerra mondiale fino a oggi», aveva annunciato ai giornalisti il Papa sull’areo in volo verso l’isoletta greca.
Si è trattato (come scrive Luis Badilla su Vatican Insider) del primo viaggio ecumenico nella storia dei viaggi pontifici extraitaliani che dal primo dell’epoca contemporanea (Paolo VI, 1964 – Terra Santa) fino a questo in Grecia sono stati 150.
«Appuntamenti» ecumenici
È vero che tra questi viaggi almeno in due casi, Paolo VI in Terra Santa (1964) e papa Francesco in Terra Santa (2014), vi sono stati alti momenti ecumenici: nel primo caso l’abbraccio tra Paolo VI e il patriarca Ecumenico di Costantinopoli Atenagoras, nell’altro, cinquant’anni dopo, l’abbraccio tra papa Francesco e il patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, successore di Atenagoras.
In questi due pellegrinaggi papali il Pontefice nel contesto di un proprio viaggio incontrò le guide spirituali del Patriarcato ecumenico. Per semplicità si può dire che si trattò di «appuntamenti ecumenici».
Se ne potrebbe aggiungere un terzo ma del tutto singolare: La Habana, 12 febbraio 2016. In questo caso però come è ben noto si è trattato di un incontro preparato per un abbraccio tra il papa di Roma, Francesco, e il patriarca di Russia, Kirill, dopo mille anni di separazione. Anche qui è stato un «appuntamento ecumenico» seppure di portata storica con delle conseguenze che forse sono già parte del Viaggio a Lesbo di Francesco, Bartolomeo e Hieronimus.
La diversità di Lesbo
Nel caso di Lesbo è tutto molto diverso e ciò consente di affermare che il 16 aprile 2016 è stata la giornata del primo vero pellegrinaggio ecumenico nella storia dei rapporti tra cattolici e ortodossi. Perché? Le ragioni sostanziali sono dieci:
1) Il viaggio è nato fin da subito come un progetto di pellegrinaggio ecumenico che dalla partenza ha coinvolto il Papa, il Patriarca e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. L’idea è stata sempre: andare insieme poiché il massimo valore e significato era, appunto, «viaggiare insieme, testimoniare insieme, essere insieme attori della misericordia del Padre».
2) Gli «sherpa» dei tre leader religiosi, persone di altissimo livello e collaboratori di fiducia di Francesco, Bartolomeo e Hieronimus, hanno lavorato insieme fino dall’inizio per organizzare il programma e dunque la scaletta degli eventi a Lesbo è stato il frutto di un accordo ecumenico curato attentamente anche nelle fasi operative e logistiche.
3) Il 16 aprile, dal primo minuto all’ultimo, i tre leader religiosi hanno presieduto congiuntamente tutti gli eventi del programma concordato e tutti e tre hanno avuto spazi e rilevanze paragonabili.
4) Tutti e tre inoltre hanno pregato insieme. Ciascuno poi a pronunciato le proprie preghiere in presenza degli altri e ciò lo hanno fatto in diversi momenti del programma. Insieme, uno accanto all’atro, per oltre 80 minuti hanno abbracciato e parlato con i profughi del Moria Refugee Camp quasi come pari membri di una «delegazione».
6) I tre, Francesco, Bartolomeo e Hieronimus, hanno sempre avuto molta cura nei loro interventi di dire «noi», e cioè di comunicare l’idea che agivano insieme condividendo ogni scopo e passaggio del programma.
7) I responsabili del viaggio di ciascuno dei leader religiosi hanno agito sempre, anche nelle cose minori, in assoluto accordo e concertazione e per tutta la visita li abbiamo visti quasi come «angeli custodi» di ciascuno e costantemente in comunicazione tra loro.
8) Da parte vaticana si sono evitati tutti i simboli e norme che in un viaggio del Papa sono fondamentali e che in questo caso avrebbero dato l’impressione di una diversità di trattamento e protocollo tra i leader.
9) Una singolarità del viaggio è stata la totale assenza del presidente della Grecia, Prokopīs Paulopoulos, che pure aveva invitato papa Francesco con una bella lettera dove scrisse: «Santità. Molte migliaia di persone che sono costrette oggi a lasciare la loro terra d’origine a causa della guerra, il terrore e la povertà, sono ora in una situazione di emarginazione estrema. (…) Sono convinto, Santità, che è necessario l’impegno di tutti i popoli e i governi europei per affrontare questa situazione drammatica e sono sicuro che il Vostro contributo può essere estremamente significativo e decisivo. (…) La sua si visita a Lesbo migliorerà notevolmente lo sforzo per comprendere il dramma dei rifugiati e metterà in evidenza i valori umanitari della nostra comune civiltà europea».
Allora perché non c’era e non si è mai fatto presente? La risposta plausibile è questa: un incontro ufficiale con il Papa avrebbe dato al viaggio, volente o nolente, un «carattere di Stato» (bilaterale Grecia-Santa Sede) e ciò interferiva con il carattere ecumenico tripartito e, forse, avrebbe obbligato a un incontro simile con il patriarca Bartolomeo.
10) A conferma che il viaggio aveva questa natura e quest’impostazione, i tre leader religiosi hanno firmato una dichiarazione congiunta ricca di affermazioni impegnative che consolidano i legami tra la Sede Apostolica, il Patriarcato ecumenico e la Chiesa ortodossa greca autocefala, e aprono prospettive irrealizzabili oggi ma non impossibili domani.
In questo importante documento si possono leggere frasi come queste che vale la pena leggere alla luce delle considerazioni proposte: «Ci siamo incontrati sull’isola greca di Lesbo per manifestare la nostra profonda preoccupazione per la tragica situazione dei numerosi rifugiati, migranti e individui in cerca di asilo, che sono giunti in Europa fuggendo da situazioni di conflitto e, in molti casi, da minacce quotidiane alla loro sopravvivenza».
«Da Lesbo facciamo appello alla comunità internazionale perché risponda con coraggio, affrontando questa enorme crisi umanitaria e le cause a essa soggiacenti, mediante iniziative diplomatiche, politiche e caritative e attraverso sforzi congiunti, sia in Medio Oriente sia in Europa».
«Come capi delle nostre rispettive Chiese, siamo uniti nel desiderio della pace e nella sollecitudine per promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione. Mentre riconosciamo gli sforzi già compiuti per fornire aiuto e assistenza ai rifugiati, ai migranti e a quanti cercano asilo, ci appelliamo a tutti i responsabili politici affinché sia impiegato ogni mezzo per assicurare che gli individui e le comunità, compresi i cristiani, possano rimanere nelle loro terre natie e godano del diritto fondamentale di vivere in pace e sicurezza».
«Insieme imploriamo solennemente la fine della guerra e della violenza in Medio Oriente, una pace giusta e duratura e un ritorno onorevole per coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Chiediamo alle comunità religiose di aumentare gli sforzi per accogliere, assistere e proteggere i rifugiati di tutte le fedi e affinché i servizi di soccorso, religiosi e civili, operino per coordinare le loro iniziative».
«Esortiamo tutti i Paesi, finché perdura la situazione di precarietà, a estendere l’asilo temporaneo, a concedere lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei, ad ampliare gli sforzi per portare soccorso e ad adoperarsi insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso».
«Da parte nostra, in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, decidiamo con fermezza e in modo accorato di intensificare i nostri sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani. Riaffermiamo con convinzione che “riconciliazione [per i cristiani] significa promuovere la giustizia sociale all’interno di un popolo e tra tutti i popoli […]. Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in Europa” (Charta Oecumenica, 2001)».
«Difendendo i diritti umani fondamentali dei rifugiati, di coloro che cercano asilo, dei migranti e di molte persone che vivono ai margini nelle nostre società, intendiamo compiere la missione di servizio delle Chiese nel mondo».
«Il nostro incontrarci oggi si propone di contribuire a infondere coraggio e speranza a coloro che cercano rifugio e a tutti coloro che li accolgono e li assistono».
«Esortiamo la comunità internazionale a fare della protezione delle vite umane una priorità e a sostenere, a ogni livello, politiche inclusive che si estendano a tutte le comunità religiose. La terribile situazione di tutti coloro che sono colpiti dall’attuale crisi umanitaria, compresi tantissimi nostri fratelli e sorelle cristiani, richiede la nostra costante preghiera».