Dopo la lunga e solenne veglia pasquale, ad Alghero nella mattina di Pasqua il primo pensiero del Vescovo è stato per i carcerati. Padre Mauro Morfino, accompagnato da un diacono, alle otto ha varcato il grande cancello del carcere di via Vittorio Emanuele e ha celebrato la Messa con un gruppo di detenuti. “Sono il primo peccatore di questa diocesi – ha detto il Vescovo Morfino ad una trentina di detenuti presenti nella colorata cappella – ma stamattina il mio pensiero non poteva che essere per voi. Oggi celebriamo la festa di un condannato a morte e la sua storia di salvezza; ognuno di noi ha una sua storia di salvezza che il Signore conosce e nonostante il momentaneo deprivamento della libertà tutti rischiamo di avere un deprivamento peggiore: è quello del cuore, interiormente imprigionato dall’immagine di sé, dal potere dei soldi, da un amore verso se stessi che diventa troppo grande e sfocia in violenza nelle relazioni: ma il Signore risorto offre questa liberazione che è data a tutti”.
Gli attuali 62 detenuti del carcere algherese nel colle di San Giovanni sono impegnati in un percorso di reinserimento sociale denominato “Barrio”: si propone l’obiettivo di ricostruire un quartiere della città all’interno dell’Istituto di pena, proprio per abituare le persone detenute alla futura vita in società, dopo aver scontato la pena. Le stanze di detenzione sono 65.
“Il progetto che proponiamo ai nostri detenuti – ha raccontato il comandante della polizia penitenziaria Antonello Brancati – è un patto di responsabilizzazione che chiediamo loro di condividere e sottoscrivere. Soltanto dopo proponiamo un percorso di crescita e progressiva re-inclusione sociale. Chi aderisce alla nostra proposta è iscritto per esempio all’università, all’istituto alberghiero oppure è impegnato in attività lavorative gestite dall’amministrazione penitenziaria”.
Il carcere algherese algherese, sorto alla fine del 1800, chiuso nel 1988 e riaperto nei recenti anni ’90 come istituto penitenziario, concede ai suoi ospiti un pizzico di libertà che permette loro di tenere le stanze aperte, girare all’interno dell’istituto ma soprattutto uscire per le attività esterne. Su di essi vigilano i 60 agenti di polizia penitenziaria e l’équipe educativa che li accompagna verso una nuova vita.
Alessandro Porcheddu