Andavano tutti, poveri e professionisti affermati, davanti alla ruota del Monastero di Via Cima con la gavetta di alluminio o di terracotta a prendere la minestra di ceci delle suore Figlie di Francesco.
Era il pasto del Venerdì santo per tanti cagliaritani. Un appuntamento irrinunciabile, come il giro delle sette chiese o la processione del Cristo morto di san Giovanni o di san Giacomo.
I più anziani, quelli che ancora hanno memoria id questa tradizione, parlano di un gusto particolare, di una bontà che andava ben oltre la pura e semplice gastronomia, di un sapore che nessuno chef saprebbe più riprodurre.
Per la comunità delle Monache Cappuccine – come per tutte le claustrali – la giornata del Venerdì santo è autenticamente giorno di digiuno e penitenza, letteralmente a pane e acqua con un unico pasto, appunto questa povera minestra che esse consumavano in ginocchio, poggiando la scodella direttamente sul pavimento e non sulla tavola, come ogni altro giorno dell’anno.
Di questa, come di tante altre tradizioni minori non è purtroppo rimasto che il ricordo. Custodito ormai solo da un numero sempre più ridotto di cagliaritani che ancora si fanno prossimi alla piccola comunità delle Cappuccine di via Manno.
Paolo Matta