Non bastava l’odioso muro di Betlemme o quelli che alcuni paesi europei stanno costruendo per arginare l’ondata migratoria. Pensavamo che Cagliari fosse “città aperta” al dialogo e all’accoglienza proprio per essere quella porta aperta sul Mediterraneo, crocevia di flussi non solo crocieristici ma anche culturali e religiosi.
Poi, è sufficiente allontanarsi non di molto dal centro cittadino e, in uno degli avamposti delle prime periferie sorte negli anni del più profondo inurbamento e dello sfacelo del centro storico, imbattersi in un obbrobrioso monumento all’insipienza e all’inciviltà dello spessore di 60 centimetri, cinque metri di altezza per quasi 25 metri di lunghezza.
Non si capisce quale mente illuminata abbia potuto concepire la costruzione di un muro che, di fatto, trasforma la parrocchiale della Medaglia Miracolosa di Piazza San Michele in una “chiesa-bunker“: manca solo il filo spinato lungo tutta la muraglia in cemento armato, qualche riflettore, magari arancione, qua e là e l’effetto-Auschwitz è assicurato.
Nel quartiere è rivolta popolare – come è ovvio che sia – da parte di cittadini che vivono confinati in un quartiere chiuso dal “muro virtuale” (ma quanto mai solido) di una marginalizzazione sociale e politica, costante serbatoio elettorale periodicamente alimentato da promesse, sempre rimandate, e farisaiche politiche assistenziali o poco più.
L’assessore ai Lavori pubblici del Comune di Cagliari, Luisa Anna Marras, in una dichiarazione rilasciata a L’Unione Sarda ha ribadito che «non si tratta di un muro divisorio perché l’obiettivo dell’amministrazione è quello di mettere in connessione la piazza con la chiesa, consentendo un’agibilità alla parrocchia che sino a ora non c’era. Conclusi gli interventi», garantisce l’esponente della Giunta «l’impatto sarà diverso».
Come si possa “mettere in connessione“, quindi favorire un dialogo, ancorché urbanistico, fra una piazza e una chiesa con un muro alto 5 metri, è argomentazione difficile da comprendere, anche alla persona più sprovveduta.
Intanto gli abitanti e i parrocchiani lo hanno già ribattezzato “muro di Berlino”, altri – più realisticamente – “Muro del Pianto”. Perchè, per dirla, amara, con Troisi e Benigni, davvero “non ci resta che piangere“.